Benvenuti

Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

mercoledì 14 marzo 2012

2.2.2: Fortuna di Mao, l’anti-Gorbaciov

2. Ancora una primavera. Tienanmen e dintorni 

2.2 Dopo Tienanmen

Nel 1994 un sondaggio promosso dal China Youth Daily segnala la nuova fortuna del mito di Mao, il leader più amato dai giovani seguito da Zhou Enlai e Deng Xiaoping (Cammelli 2008). La spiegazione che viene data a questo fenomeno in Occidente è il cambio generazionale. All’America del ’68 era successa l’America degli yuppies interessati solo a far soldi così in Cina al maoismo e all’idealismo di Tienanmen era successa una Cina altrettanto cinica che l’America post-sessantotto. Vi è una differenza però. In America e in Europa ciò avviene tra generazioni diverse, in Cina verosimilmente all’interno di chi era stato in piazza a Tienanmen. La cosa strana che questa è la reazione ad un sondaggio che vede l’ammirazione dei giovani per i dirigenti comunisti. Insomma se la Cina non va nella direzione in cui si vuole in Occidente allora è perché è cinica e materialista (anche se l’oggetto della venerazione sono vecchi rivoluzionari). Sesso, soldi modelle ricconi ecco cosa è la Cina, immemore del suo stesso passato. Che noi conosciamo (nonostante che leggiamo 12 volte di meno dei cinesi) ma che i cinesi ignorano non per colpa loro, ma della cricca dei governanti. Un potere senza alcuna ideologia ma ormai ridotto a comitato d’affari, ad una corporazione fascista.

I giovani cinesi:

Non hanno la bandana sulla fronte, né i megafoni, né il fascino dei loro cugini del 1989. Sono uno strano mix di qualunquismo e patriottismo, condito col mito di Di Caprio e di Topolino. Ma non sono meno aggressivi della generazione dei Wang Dan. "Il popolo americano non capisce un bel niente della Cina", attacca il primo studente, prendendosi facile gioco della ignoranza statunitense sulla storia e la geografia. "Washington vende armi a Taiwan, che ne direste se Pechino armasse le Hawaii?", dice un altro con la smorfia del provocatore (Zampaglione 1998).

Si va beh, ma il trionfo di Mao? Una prima cosa il mondo in cui si era svolta il dramma di Tienanmen, un mondo ancora diviso in blocchi non esisteva più. Crollo del muro, guerra nel golfo, Clinton, disgregazione dell’URSS ecc.
È in questo contesto, davanti al crollo di Gorbaciov, che la popolarità di Mao crebbe, a vista d’occhio, in modo irrefrenabile. I suoi errori furono molti, gravi e dolorosi. Avevano tuttavia il merito di avere salvato l’unità del paese. In Corea Mao aveva certamente perduto novecentomila uomini contro i cinquantamila americani, ma aveva resistito a nemmeno un anno dalla fine della rivoluzione[1]. "Mao divenne per i giovani cinesi l’anti-Gorbaciov per eccellenza: i suoi sbagli furono terribili, ma comunque cinesi. Non consegnarono il paese all’Occidente. Mao si misurò col mondo intero – dall’ONU ad ogni altra organizzazione internazionale – e seppe cosa ci si poteva attendere. Mao non illuse né sé stesso né la nazione sulla bontà degli USA e della loro politica: seppe stanare e contrastare, anzi sconfiggere l’imperialismo" (Cammelli 2008).


Se ancora gli studenti intervistati da Jacoviello nell’ottobre del 89 credevano in Gorbaciov non era più così dopo solo qualche anno. Eppure nella sinistra italiana c’è ancora chi indugia sul mito di Gorbacev: “La Cina imboccò da allora la strada del definitivo ‘grande balzo in avanti’, che l'avrebbe portata a ritmi incredibilmente veloci a diventare una grande potenza economica mondiale. A differenza di Mikhail Gorbaciov -che stava ingenuamente tentando di uscire dalla crisi del socialismo sovietico attraverso la "democratizzazione" e la "trasparenza"(Gagliardi 2005)”.

Mao era pur sempre colui che nel proclamare la nascita della Repubblica popolare cinese aveva detto: “La nostra non sarà più una nazione soggetta all’insulto e all’umiliazione. Ci siamo alzati in piedi […] L’era nella quale il popolo cinese era considerato incivile è ora terminata (Losurdo 2008).

Lo sfascio dell’URSS trasformò per contrappasso Mao nel garante dell’unità del paese, del suo riscatto internazionale. Non fu un ritorno al maoismo, ma al Qiangguo meng ovvero al «Sogno di una nazione potente»: unica difesa contro l’aggressività spietata e determinata dell’Occidente. "Da allora lo scenario non solo non è mutato ma anzi. In questi ultimi venti anni è venuto progressivamente rinforzandosi. Oggi il culto di Mao è ben lungi dall’esaurirsi, e rientrare nelle pagine della storia del passato. La grandezza della Cina, il sogno di una nazione potente è diventato pilastro della cultura cinese, non di una sola generazione, o di un leader di un partito in difficoltà" (Cammelli 2008).

Anche Timothy Cheek ci informa sulla persistenza del mito di Mao e del suo ruolo nel formare lo stato nazionale cinese. Il “maoismo” è ancora vivo nel “considerevole prestigio di cui gode il PCC in virtù del ruolo avuto nella turbolenta storia cinese del Novecento. Anche se oggi diverse persone ne rigettano gli elementi estremistici, al PCC è ancora ampiamente attribuito il merito di avere salvato la Cina dall'imperialismo, dai signori della guerra e dalla povertà. Per molti ci­nesi, il più grande successo del PCC, di cui Mao è l'incarnazione, risiede nel fatto di avere creato lo stato-nazione cinese e ristabilito l'ordine nel 1949. "I molti errori commessi da Mao e dal PCC da allora in avanti non hanno (ancora) del tutto oscurato quest'unica impresa”(Cheek 2007, p.31).

Comprendere la storia cinese non deve essere un mero esercizio letterario o conoscere qualche data, ma significa capire come sono stati visti gli aspetti fondamentali della storia dai cinesi stessi. Fino alla metà del diciassettesimo secolo la Cina era un paese assai progredito rispetto alle condizioni dell’epoca. Il peso dell’economia cinese all’interno dell’economia mondiale di allora era di circa il 33%. E’ solamente a partire dalla seconda metà della dinastia Qing, con la Guerra dell’Oppio e l’invasione delle potenze occidentali, che la Cina trova sempre maggiori difficoltà ed imbocca la via della decadenza, fino a raggiungere uno status di semicolonia. Quello che era ancora nel 1820 uno dei paesi più ricchi della terra divenne in breve tempo il più povero. La Cina fu smembrata e umiliata. Russi, Americani, Francesi, Britannici, Tedeschi, Giapponesi e Italiani si ritagliarono un posto al sole con la politica delle cannoniere. Ad Hong Kong, Shangai e Tianjin vengono stabilite delle concessioni extraterritoriali occidentali, e anche la finanza nazionale in quegli anni è controllata dagli occidentali. Cosa singolare l’imperatore tedesco coniò il termine “Pericolo giallo” quando in realtà il pericolo era assolutamente “bianco”. E’ tipico dell’occidente colpevolizzare le proprie vittime. Un secolo e mezzo di umiliazioni si concludono solo con la vittoria della rivoluzione comunista. La presunta xenofobia cinese ha le sue radici nel XIX° secolo come resistenza dei cinesi ai missionari e imperialisti.

Battaglia navale durante la Guerra dell'Oppio
La guerra dell’Oppio costrinse la Cina. ad accettare sotto la minaccia delle armi le regole diplomatiche e commerciali europee, così come la vendita dell'oppio nel paese a opera degli inglesi. I saccheggi degli im­perialisti europei e americani continuarono per tutto il secolo, poiché sotto la dinastia Qing l'ordine interno si dissolse e la Cina fu sconvolta da una terribile guerra civile, la rivolta dei Taiping, che infuriò dal 1850 al 1864 provocando la morte di circa 25 milioni di persone. Bisogna ricordare Lin Zexu, il primo ministro al tempo delle Guarra dell'Oppio non intendeva ostacolare, anzi promuoveva, il commercio con l’estero. Semplicemente voleva stroncare il contrabbando dell’oppio. Anzi i governanti cinesi chiedevano agli inglesi di favorire le forme legali del commercio. Fu il rifiuto dell’Inghlterra a cooperare che portò il governo a distruggere le partite d’oppio di contrabbando. “Queste operazioni di polizia, che si erano svol­te su territorio cinese, vennero denunciate nel parlamento ingle­se come "triste malefatta, una malvagia offesa, un'atroce viola­zione della giustizia per la quale l'Inghilterra ha il diritto, un as­soluto e incontrovertibile diritto", in base "alle leggi umane e di­vine", "di esigere una riparazione con l'uso della forza nel caso venga rifiutata una composizione pacifica (Arrighi 2008, pp. 376-377)”. Quanto potesse valere il diritto internazionale lo dimostrarono i colonialisti britannici. Mentre la Cina rivendicava il diritto di applicare le proprie leggi sul loro territorio gli inglesi rivendicavano il diritto di applicarlo anche sul territorio altrui: “Parafrasan­do Marx, fra diritti contrapposti decide la forza, e gli inglesi di­sponevano di tutta la potenza di fuoco necessaria a far prevale­re la propria idea di cosa fosse giusto o sbagliato su quella dei cinesi (Arrighi 2008, pp. 376-377)”. E' ovvio che l'Occidente da allora in poi ha sempre rivendicato di essere la patria del diritto.


Nelle varie guerre dell’Ottocento contro le potenze occidentali e il Giappone la Cina ha sempre perso, ed è costretta a pagare i danni di guerra, che ad un certo momento ammonteranno a circa il 50% del bilancio pubblico. Nel 1895, il Giappone, già stato vassallo, affonda la flotta settentrionale della Cina e costringe il paese a un trattato di pace umiliante La Cina deve pagare 200 milioni di liang equivalenti a tre anni di entrate dello stato. E’ l'ini­zio di un cinquantennio di penetrazione imperialista del Giappone nell'Asia continentale.

All’inizio del Novecento in seguito della rivolta dei boxer, dovuta all’arroganza degli occidentali che approfittando della debolezza dell’Impero Cinese impiantavano legazioni dove era severamente vietato l’ingresso ai cani e ai cinesi, le truppe straniere entrarono a Pechino dove iniziarono carneficine e saccheggi sistematici. Gli edifici reali, templi e palazzi furono spogliati, vandalizzati e diventando alloggio per le truppe. Beni culturali e artistici di valore inestimabile furono distrutti o rubati dalla soldataglia. Le banche furono saccheggiate e le truppe occidentali rubarono tutto. La moneta cinese perse ogni valore. Gli stupri e le violenze contro donne e ragazze erano all’ordine del giorno.


Lo stesso succede a Tianjin e a Baoding. Spedizioni “punitive” furono intraprese nelle zone rurali dello Zhili, dove i soldati stranieri bruciarono interi villaggi non risparmiando nulla. II Protocollo dei Boxer che fu imposto alla Cina comportò una pesante indennità a favore degli occupanti 450 milioni di dollari in argento. Per tutta la Cina venivano prese in concessione miniere, e il commercio, le fabbriche, le banche, le dogane e qualsiasi posto dove si potesse sfruttare la nazione per fare soldi veniva occupato dagli occidentali[2]. Le cose peggiorano in seguito. La dinastia Qing crolla lasciato il campo ai signori della guerra. Infine il Kuomintang attacca i comunisti fino allora suoi fedeli alleati facendo scoppiare la guerra civile che dura fino al 1949. Lo scoppio di quella che i cinesi chiamano la guerra anti-giapponese finì con il lasciare una scia di lutti e miseria. La Cina subì l’occupazione e lo smembramento territoriale da parte del militarismo giapponese. La guerra causò circa 35 milioni tra feriti e morti, distruzioni e danni economici ingenti. Il massacro terroristico di Nanchino con centinaia di migliaia di morti, di donne seviziate ad opera dei giapponesi, ancora oggi suscita indignazione da parte dei cinesi. In sei settimane furono massacrati 300 mila civili e militari cinesi con stupri che riguardarono almeno 20 mila donne e bambine con il naturale corollario di esecuzioni di massa, saccheggi e incendi[3].

Una delle più cupe e vergognose pagine scritte col sangue dall’imperialismo fu archiviata nel Risorgimento cinese con la Rivoluzione del 1949. Cheek scrive che “i cinesi istruiti si domandarono se la 'Cina' non fosse veramente destinata a collassare come stato e a scomparire come cultura. Mao non creò la rivoluzione che avrebbe evitato un tale disastro, ma finì davvero per rappresentare la soluzione (Cheek 2007, 32)”.

Recentemente si sia cercato di attaccare la memoria di Mao in Occidente con argomenti quanto mai superficiali. Mao infatti avrebbe fatto la lunga marcia in lettiga portato dai suoi schiavi dell’Armata Rossa. In realtà Mao era ammalato e ne parlò lui stesso diffusamente. Cheek attribuisce ai metodi intolleranti della Rivoluzione Culturale questo sfogo della biografa anglo-cinese, l’ex guardia rossa Jung Chang la cui biografia di Mao viene definita “un'opera stupe­facente di antimaoismo maoista”.
Nell'attaccare Mao, Jung da prova di un estremismo molto simile a quello delle campagne unilaterali e iperboliche cui lei stessa partecipò durante la Rivoluzione culturale, dipingendo il leader politico come una persona malvagia, un sadico affamato di potere e di sesso, che, pur di ricavare un vantaggio personale, non esitava a ricorrere ai mezzi più spregevoli, come l'inganno, la manipolazione e l'esercizio del terrore. Mao non ha mai fatto nulla per il bene di qualcun altro; nessuna delle sue politiche ha mai funzionato. Era cattivo, cattivo, cattivo. Di fatto, era l'incarnazione del controrivoluzionario! È questa l'eredità più ironica del maoismo: persino un'ex Guardia Rossa oggi residente a Londra che vuole purgarsi della sua passata adulazione per Mao si sente costretta a usare gli stessi metodi di 'critica di massa', perfezionati durante il regime, per attaccarne la memoria. (Cheek 2007, 50-51).
In ogni caso ci informa Cheek il mito di Mao è vivo più che mai soprattutto oggi tra i giovani. Infatti dice lo studioso americano che ciò preoccupa i dirigenti cinesi molto più dei servizi della BBC o di Fox News perché spesso viene accusato nei forum on-line di esser troppo tenero con gli americano e di non difendere a sufficienza la dignità della Cina. “In Cina, infatti, gli studenti sono la frangia estrema della retorica nazionalista” essi portano “il maoismo e il nazionalismo difensivo della dirigenza del Partito a punti cui Pechino preferirebbe non arrivare. Questi giovani venerano Mao, perché ritengono che abbia vissuto con semplicità e sia stato pertanto alieno dalla corruzione. Inoltre, sposano il populismo radicale insito nel maoismo (Cheek 2007, 98-99). Inoltre sottolinea Check questi giovani “traggono dai discorsi sul maoismo la sensazione che esista sia uno scopo, sia una comunità”. Come si vede la percezione del giovane cinese come aspirante all’american way of life non potrebbe essere più lontana dalla realtà. 


Scrive Franceschini a proposito del revival maoista degli ultimi anni: "Eppure, a guardare bene, il revival maoista non è certo una novità di questi ultimi anni. Come Geremie Barmé scriveva nel lontano 1996 nell’introduzione al volume Shades of Mao, il primo recupero dell’immagine di Mao Zedong ebbe luogo già alla fine degli anni Ottanta, dopo una decade di semi-oblio in cui il culto della personalità ereditato dai decenni precedenti era stato sistematicamente smantellato. Allora il rinnovato interesse della popolazione cinese nei confronti della figura del vecchio presidente si era tradotto in una vera e propria “ricerca di Mao Zedong” (xunzhao Mao Zedong), un fenomeno che ben presto era stato ribattezzato dai media ufficiali “febbre maoista” (Maore). E di una vera e propria febbre si trattò, se si pensa al fatto che a fronte delle appena 370.000 copie del ritratto di Mao stampate nel 1989, nel 1990 il numero era salito a 22,95 milioni di copie, di cui 19,93 erano state vendute." (Franceschini 2012).

Dunque a solo un'anno di distanza dai fatti di Tienanmen e dalla febbre dell'Occidente che aveva contagiato i giovani siamo all'estremo opposto con la febbre di Mao. Naturalmente qualcuno insinuò che fosse una mossa del famoso "potere" e che "dopo gli eventi del Quattro giugno le autorità fossero alla ricerca di una nuova legittimazione e che il recupero dell’immagine di Mao sia stata una strategia orchestrata dall’alto" ma, sostiene Franceschini: "questa spiegazione appare ben lontana dall’essere esauriente."(Franceschini 2012). la figura di Mao è profondamente radicata nell'immaginario dei cinesi, come rivelano molti episodi:: "Come, ad esempio, quando tra gli autisti cinesi si affermò per la prima volta l’abitudine di appendere un “santino” di Mao allo specchietto retrovisore delle proprie automobili, il tutto in seguito al diffondersi di una leggenda metropolitana che voleva che a Shenzhen una persona coinvolta in un gravissimo incidente stradale fosse sopravvissuta grazie ad un immagine di Mao sul cruscotto. O, ancora, con la riscoperta delle “canzoni rosse” nei primi anni Novanta, quando tutta una serie di inni fondanti del Partito – da “Il socialismo è grande” all’”Internazionale” – furono rielaborati in chiave rock. Si parla tanto di canzoni rosse oggi, ma non sono in molti coloro che ricordano come nell’inverno del 1991-92 un album pop intitolato “Il sole rosso – Odi a Mao Zedong cantate in un nuovo ritmo” abbia ottenuto un successo strepitoso, vendendo quattordici milioni di copie nel giro di pochi mesi." (Franceschini 2012).. Lo stesso Hu Jintao si è richiamato espressamente a mao per far sì che “cento fiori sboccino e cento scuole di pensiero dibattano”, al congresso nazionale dell’Associazione degli Scrittori Cinesi. 

Nel 20° anniversario dei fatti di Tienanmen il Los Angeles Time scrive sulla generale apatia e ignoranza dei giovani verso quell’evento. Ora a parte che l’ignoranza della storia presso i giovani è uno dei più ricorrenti luoghi comuni a livello cosmico, ma bisognerebbe partire dal grado di consenso del governo cinese: l’87% (quello degli USA era al tempo di appena il 23%) che fa si che molti giovani cinesi siano contenti del proprio governo (Chou 2010). Il giornale attribuisce l’apatia dei giovani al loro crescente nazionalismo, cioè alle loro convinzioni che il giornale non accetta come buone o ammissibili.


Cheek parla di “nazionalismo difensivo dei dirigenti cinesi”. Il ricercatore di scienze sociali Zhang Kuan ad esempio scrive che “per un po' abbiamo perso il coraggio di contestare e respingere discorso imperialista e colonialista occidentale. Per esempio, in materia di diritti umani, economia di mercato, proprietà intellettuale, abbiamo ci troviamo sempre in una posizione difensiva nei negoziati con l'Occidente (Egido 2004b)». Ciò che ribolle nelle viscere della Cina non è davvero una bella sorpresa per coloro che sono attaccati al mito della Cina che sbava per l’Occidente.



[1] Chu Shulong (China Institute of Contemporary International Relations CICIR), si è così espresso: «I cinesi ancora considerano la guerra di Corea una vittoria perché una repubblica nata da appena un anno ebbe abbastanza coraggio per combattere una super-potenza che aveva appena vinto la Seconda guerra mondiale e possedeva armi nucleari. Le forze guidate dagli Stati Uniti si stavano spingendo al confine cinese e quindi vennero fermate dai cinesi su quella linea. Un rapporto di perdite di 900.000 uomini a 50.000 fu il prezzo che dovette pagare una nazione debole per proteggere sé stessa contro la più grande potenza mondiale.» in National unity, sovereignity and territorial integration, in «The China Journal» n.36, 1996 
[2] Peter Franssen Le développement du socialisme en Chine |Archive EM| Revue n° 78,: 2007-11-19, Etudes marxistes http://www.marx.be/FR/cgi/emall.php?action=get_doc&id=76&doc=554
[3] Joe Vialls, Le foto delle attrocità di Bush, Blair & Howard
originale: http://www.joevialls.co.uk/ le citazioni sono prese da Iris Chang, “Lo stupro di Nanchino” (Corbaccio, 2000),




Bibliografia


Arrighi, Giovanni. 2008. Adam Smith a Pechino. Genealogie Del Ventunesimo Secolo. Feltrinelli.
Cammelli, Stefano. 2008. “Debolezza Della Cina e Problema Tibetano.” Polonews. http://www.polonews.info/articoli/Saggi%20critici/20080505.pdf.
Cheek, Timothy. 2007. Vivere Le Riforme. La Cina Dal 1989EDT.
Chou, Jennifer. 2010. “20th Anniversary of Tiananmen and the Biased Western Media.” Anti-Establishment Examiner. http://www.examiner.com/anti-establishment-in-national/20th-anniversary-of-tiananmen-and-the-biased-western-media.
Egido, José Antonio. 2004. “Existe Una Nueva Burguesía En La República Popular China.”
Franceschini, Ivan.  2012. Mao, l’eterno ritorno. 4 aprile 2012
Gagliardi, Rina. 2005. “Tienanmen, 4 Giugno: Quel Giorno Nacque Il Capitalismo Cinese.” Liberazione.
Losurdo, Domenico. 2008. “Come Nacque e Come Morì Il «marxismo Occidentale.” http://eprints.sifp.it/73/1/LOSURDO.html.
Zampaglione, Arturo. 1998. “Clinton Show All’ Università.” La Repubblica.

Nessun commento:

Posta un commento

Chi siamo

Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.