Benvenuti

Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

mercoledì 7 marzo 2012

2.1.11: Il ruolo dei media e le esagerazioni sul numero delle vittime

2. Ancora una primavera. Tienanmen e dintorni 

2.1 Il mito del massacro di Tienanmen

Armi e altro materiale catturato dai "pacifici" studenti.
Non è mai successo in nessun paese occidentale

Nel mondo reale le cose giuste non succedono mai al momento giusto né nel posto giusto. Compito dei giornalisti e degli storici è di rimediare a questi errori imperdonabili della realtà.
Mark Twain

La prima esperienza cosciente di quello che sto per raccontare l'ebbi nel giugno del 1989, quando il Gazzettino, che pure aveva un inviato a Pechino, titolò a nove colonne (allora erano nove) che in piazza Tian An Men c'erano stati 30.000 morti (il triplo delle peggiori stime degli altri giornali). Giovane e inesperto giornalista, me lo spiegai con un errore, un errore nel quale può incorrere chiunque cerchi di lavorare e debba coniugare, come il giornalista, velocità e precisione. Non so se sia l'età, l'esperienza o la disillusione, ma ora quell'involontario errore non mi appare più tale. Ora quella fra i giornali (e le televisioni) mi appare sempre più come una gara ad avere (almeno) un morto più del concorrente, a non restare indietro: tanto c'è sempre tempo per correggere al ribasso. E gli esempi sono tanti, troppi.
Carlo Felice Dalla Pasqua 2005


Le baggianate su presunti morti negli scontri cominciano alla buonora. Già il 23 maggio. Scrive infatti Fiore: "Le agenzie, con i loro paracadutisti della notizia, ne hanno sparato un'altra sul tanto sospirato scontro fra eser­cito e civili. L'agenzia americana dice che ci sono morti e feriti in una battaglia alla periferia ovest di Pechino, grida­va il redattore dall'altro capo del filo, e io a rispondergli che non lo sapevo, che noi facciamo un giornalismo di im­magini e di fatti, non di voci, che perciò stamattina sarei andato a vedere, ma che mi sembrava imprudente racco­gliere un semplice dispaccio d'agenzia e dare l'allarme al pubblico italiano su un principio di guerra civile, anche perché centinaia di famiglie di connazionali residenti in Cina sarebbero state allarmate prima del tempo. Fortuna­tamente, aggiungevo, il bilancio di un diluvio annunciato è questo: un soldato caduto dal camion partito all'improv­viso e rimasto ucciso, una dozzina di contusi in tafferugli vari e qualche botta sui parafanghi della macchina della Rai. Ma di scontri fra carri armati e popolo, no, aspettia­mo a parlarne" ( Fiore 1989, pp. 179-180).

Siccome la stampa occidentale aveva raccontato “la verità” sugli studenti massacrati in piazza Tienanmen si è sentita anche di rivendicare la veridicità sulle cifre del massacro. Naturalmente decine di migliaia. 30 mila vittime della repressione comunista dichiara un giornale italiano. Naturalmente le fonti sono del tutto inconsistenti. Una cifra più volte ripresa è quella della Croce Rossa cinese. Scott Simmie and Bob Nixon nel libro Tiananmen Square scrivono che la Canadian Broadcasting Corporation al mattino di domenica cita la Croce Rossa cinese che avrebbe riferito la cifra di 2.600 morti e l’incredibile cifra di 60 mila feriti. La Croce Rossa cinese nega di avere mai emesso alcun report con questi dati, ma anche se lo avesse fatto questi dati sono incredibili. Però confermano una prassi dei media mainstream sulle rivoluzioni colorate. Una fonte (quasi sempre inattendibile) fa un'affermazione qulsiasi che viene usata come se fosse la verità assoluta. E' successo sovente in Siria negli ultimi anni. Alcuni reporter si attengono alla dichiarazione di 2600 morti fatta da funzionari (non meglio identificati) della Croce Rossa nelle circostanze che abbiamo detto mentre altri pensano che le stime sulle decine di migliaia di morti fatte dai partigiani e difensori del movimento di protesta (e anche dalla BBC) fossero fortemente esagerate con l’intento di generare irritazione verso l’esercito e il governo (Turmoil 1992). Il 12 giugno il Time riporta che i morti andrebbero da 500 a 2600 e riporta che anche i soldati sono stati uccisi. Le stime fatte attraverso ricerche sul campo sono più contenute. Secondo Emboff, funzionario dell’Ambasciata americana, i morti nei principali tre ospedali nella zona dei disordini a Pechino sono 80. Un giornalista che ha vistato sette ospedali tra il quattro e il sette giugno (compresi quelli di Emboff), ha trovato 156 civili morti (U.S. Embassy 1989). Altre indagini simili hanno dato tra i 400 e 500 morti (Chang 2005). “Il governo cinese stima più di 300 morti, per metà manifestanti e metà soldati. Le stime occidentali sono più alte” dice Mathews (Mathews 1998) del Washinton Post. Mentre le madri di Tienanmen hanno riportato 186 morti sebbene non tutti uccisi dall’esercito ma alcuni addirittura suicidi. Non di tutti questi 186 vengono date le generalità. Secondo lo stato cinese, più di 3.000 civili sono stati feriti e più di 200, tra cui 36 studenti universitari, sono stati uccisi (Beam 2009). Se 2000 persone e passa fossero stati uccisi allora ci sarebbero almeno 4000 famigliari che "ricercherebbero la verità" sui loro figli. Una bella grancassa politica. ma così non è.

Fiore, seppur schierato con gli studenti, cerca di mantenere un minimo di obbiettività, scrive:

Ed era tanto più importante per poter valutare i fatti nella giusta dimensione, non potendoci ov­viamente limitare a riferire la versione governativa o a in­seguire la guerra delle voci che si è scatenata dopo il massa­cro: i sette, i diecimila morti; gli scontri fra unità militari con i soldati divisi in buoni e cattivi; la morte di Deng Xiaoping; l'attentato a Li Peng e insensatezze varie tra le quali quella che i carri armati di Tien An Men avrebbero spianato le tende con gli studenti che dormivano. (Una co­lonna di dieci tanks e quattro autoblindo, con i cingoli che tormentano e incidono l'asfalto di notte, fa da sola, e ad ar­mi silenziose, un tale fragore che sveglia non solo chi dorme o è capace di dormire a cento metri ma un intero quartiere della città).
Cominciamo dal bilancio delle vittime e dalla "battaglia dei numeri" che è in corso. Si passa da un estremo all'altro: la cifra sparata dalle agenzie straniere con incredibile sicu­rezza parla di 7.000 morti, che sono ovviamente un'esage­razione. Come lo è per difetto quella dei 300, compresi 23 studenti, offerta dal portavoce governativo. Altrettanto va detto sul numero dei feriti: 5.000 fra i militari e 2.000 fra i ci­vili, più 400 soldati dispersi. Nel mezzo ci sono i numeri del ragazzo di Tien An Men: pochi morti sulla piazza, dice, e molti sulle barricate. Sulla piazza quasi concorda con Yuan Mu, il portavoce del primo ministro: quando i carri­sti sono arrivati di studenti ce n'erano molto pochi, essendo tutti impegnati sulle barricate, a parte quelli che erano rientrati nelle università. La sua stima parla di 500 caduti, di cui solo qualche decina sulla piazza; fra i civili un massi­mo di duemila, per un totale di 2.500. Quanto attendibili sono le voci sulla divisione al vertice dello Stato Maggiore e anche sugli scontri tra differenti unità del quartier genera­le? Il ragazzo ha risposto con un mezzo sorriso: «Magari si sparassero tra di loro! No, non sarebbe guerra civile, per­ché il popolo non c'entra con i loro giochi di potere».
Lo stesso Fiore qualche giorno prima aveva avvalorato la tesi del massacro in Pizza a cui, siamo al giorno dopo mostri credere assai poco e soprattutto alla tesi assurda dei carri che stritolano gli studenti nel sonno. Zhao Ziyang l'ex segretario del partito, nelle sue memorie ritenute una sorta di Bibbia in Occidente, parla di 300 morti inclusi i soldati. Timothy Brook in Quelling the People parla di 478 morti [1]. "Il numero esatto delle vittime è sconosciuto" (dato che non si vuole credere ai numeri dati dai cinesi), ma è stato rivisto al ribasso da alcune migliaia a diverse centinaia (Vukovich 2009). In un articolo sul New York Times Nicholas Kristof sostiene che i morti fossero centinaia e non migliaia o decine di migliaia (McInerney 1996). Lo stesso Kristof nella già citata intervista a Hou Dejian del gennaio 1990 riporta la cifra di 300 morti nelle battaglie nelle strade, molti dei quali soldati  (Beam 2009). Mentre alcuni affermano che nella piazza sarebbero morti dalle 1.000 alle 2.000 persone, Yi Mue e Mark V. Thompson in Crisis at Tiananmen riportano le affermazioni di studenti che parlano di almeno 6.000 morti e 20.000 feriti, per altri i morti sono addirittura 15.000 (Chang 2005).

Mentre è difficile stimare il numero totale di persone uccise nella somma dei combattimenti, un paio di punti dovrebbe chiari. Parlare di "migliaia" è fuori luogo. La voce che la Croce Rossa Cinese abbia dichiarato che ci fossero stati 2600 moti è rilanciata di volta in volta, ma il problema sta nel fatto che nessuna dichiarazione è stata fatta da questo organismo che anzi ha smentito. D’altra parte è del tutto inutile parlarne dato che ormai nessuno crede alle migliaia di morti. Ufficialmente il governo cinese parla di 6.000 soldati, poliziotti armati e forze di sicurezza che sono stati feriti e decine sono stati uccisi. Per quanto riguarda i civili, 3000 feriti e più di 200, di cui 36 studenti, sono stati uccisi. Da altre fonti ufficiali si riportato 241 morti compresi i soldati e 7000 feriti. Nei Tienanamen Papers si riporta il «Rapporto sulla pacificazione delle sommosse controrivoluzionarie a Pechino» di Li Ximing, letto alla riunione del Politburo del 19 giugno e va ricordato che non era stato scritto per la pubblicazione ma per informazione interna:
La municipalità di Pechino ha effettuato controlli incrociati su tutte le cifre fornite dal Comando della legge marziale, dal ministero della Sicurezza Pubblica, dalla Croce Rossa cinese, da tutte le istituzioni di istruzione superiore, nonché dai principali ospedali. Queste cifre indi­cano che sono morte 241 persone, le quali includono 23 ufficiali e sol­dati appartenenti alle truppe della legge marziale e 218 civili. Quanto ai 23 militari, dieci appartenevano all'EPL e 13 alla Polizia armata del Popolo ... I 218 civili (cittadini di Pechino, gente da fuori, studenti e insorti) includono 36 studenti delle università di Pechino e 15 persone di fuori Pechino. Circa 7000 persone sono rimaste ferite. Circa 5000 erano ufficiali e soldati delle truppe della legge marziale, dei quali 136 hanno riportato ferite gravi; 2000 erano residenti di Pechino ... Nes­suno è stato ucciso nell'ambito di piazza Tienanmen stessa... I 36 stu­denti morti provenivano da venti diverse università, inclusa l'Univer­sità del Popolo, che ha registrato 6 morti; l'Università Qinghua e l'Uni­versità di Pechino di scienza e tecnica hanno avuto 3 morti ciascuna; l'Università di 
Pechino, la Normale di Pechino e altre sette istituzioni di istruzione superiore contano 2 morti ciascuna e infine altre dieci istituzioni, un morto ciascuna. (Nathan e Link 2001, p. 501)
Yuan Mu che tiene in quei giorni una conferenza stampa nel quartier generale del Partito a Zhongnanhai afferma: "L'Ufficio generale del Consiglio di Stato riferisce che a mezzogiorno di oggi le statistiche ufficiali, che sono state sottoposte a doppio e triplo controllo incrociato con il quartier generale per la legge marziale e la Croce Rossa cinese, sono queste: i feriti ammontano a cinquemila tra i soldati e gli ufficiali dell'EPL e a più di duemila tra i civili (contando gli studenti, gli abitanti della città e gli insorti). Le cifre dei morti sono queste: ventitré appartenenti alle truppe della legge marziale, inclusi dieci dell'EPL e tredici della Polizia Armata del Popolo. Circa duecento soldati sono dispersi. Il numero di morti tra la gente della città, stu­denti e insorti si aggira intorno ai duecento, dei quali trentasei sono studenti universitari. Nemmeno uno è stato ucciso nell'ambito di piazza Tienanmen". E Qiao Shi afferma in una riunione del Comitato Permanente: "I resoconti della Sicurezza Pubblica sostengono che gran parte delle vittime e dei feriti interessi i cittadini e che questo gruppo non include solo gli insorti, i quali hanno avuto ciò che si meritavano, ma anche semplici curiosi. Nessuno dei leader delle organizzazioni illegali come la FAS o la FAL è rimasto ucciso e nessuno ha sentito che qualcuno di loro sia stato neppure ferito" (Nathan e Link 2001, 465). Questo dimostra che non ci fu discrepanza tra la versione ufficiale e i dati che circolavano nelle massime istanze del Partito.


Scrive Philippa Tristram, che al tempo lavorava in una Università cinese, nella London Review of Books “Alla mia università, per esempio, anche se molti erano stati attivi nelle manifestazioni, solo uno studente (membro dell’EPL) aveva ricevuto una pena detentiva. Gli studenti che lo hanno visitato, verso la fine del suo condanna a due anni, hanno riferito che stava bene, ma sarei la prima a convenire che non si può generalizzare da esempi particolari. Per questo motivo, non l’ho menzionato in questo nell'articolo originale. Ecco, ero preoccupata di sottolineare che la grande maggioranza dei condannati erano, sembra, cittadini e non studenti. Questi, per quanto ho potuto dire, erano stati condannati per reati che sarebbero punibili in qualsiasi paese occidentale: i membri dell'IRA stanno scontando pene simili qui, in questo momento (Tristram 1992)”.

Scive Albert Chang di Standford che alla luce delle incongruenze e le distorsioni sui due lati, sembra che il PCC stia vincendo la guerra sul numero delle vittime e la localizzazione degli avvenimenti. La maggior parte dei cinesi credono che le cifre ufficiali del PCC siano più vicine alla verità che quelle delle fonti occidentali che le contraddicono. Non è stato sempre così. Immediatamente dopo la repressione, gli studenti cinesi credevano che il bilancio delle vittime fosse di migliaia. Solo dopo la sconfitta del movimento e la repressione del PCC c’è un cambiamento del punto di vista. Nelle interviste condotte con la Brown University i professori Su Fubing e Huang Zhao Yu (dalla Cina continentale), hanno osservato separatamente che non pensavano che il bilancio delle vittime fosse maggiore di 300 persone. Su Fubing ha dichiarato che lui credeva che la maggior parte dei soldati avesse semplicemente sparato verso il cielo. Huang Zhao Yu ha affermato che non avendo personalmente visto nessuno morire, e non avendo visto soldati sparare, egli credeva alle cifre del governo (Chang 2005).

I professori Ma Jia e Wang Lingzhen della East Asian Studies Department si sono rifiutati di azzardare ad indovinare i numeri perché dicevano che semplicemente non li sapevano. Ma, tutti i professori sembravano mettere in dubbio ciò che pensavano precedentemente. La loro ipotesi iniziali immediatamente dopo l'evento, essi pensavano, erano sbagliate. Sostengono che, avendo tutti partecipato alle manifestazioni, sono stati un po’ folli e non si rendevano conto della enormità delle loro azioni. Brook cita uno studente cinese a Pechino, che dichiarava: "'devi credere alle statistiche del governo. Il governo cinese non mente mai, quando fa affermazioni su fatti accaduti. La cosa che si cerca di fare è nascondere i fatti. Ma quando si dice che qualcosa è successo, poi è successo. Devi crederci” (Chang 2005). Le stime dei singoli diventano sempre più oggetto di dubbio. Questo dubbio, combinato con la convinzione profonda tra i cinesi che il governo non mente mai sui fatti, ma al massimo li ignora, ha indotto ad accettare la stima delle centinaia di morti piuttosto che delle migliaia. Anche la stampa internazionale si è inchinata alla diminuzione del punto decimale: i morti sono convenzionalmente stimati ora nell'ordine delle centinaia, non migliaia (Chang 2005).

Ci sono altre testimonianze in questo senso. Una di uno studente di  Tianjin  afferma: “Ho cercato di trovare le vittime in un giorno del nuovo semestre, a partire dalla mia stessa classe, ho esteso la mia ricerca di altre classi, al personale e ai docenti [2]. Non c'era nessuno ucciso o ferito. Altri studenti hanno fatto anche ricerche simili. In realtà, non siamo riusciti a trovare anche un solo studente del nostro college che fosse sulla piazza, quella notte. Sono tornati tutti indietro quando il clima è diventato  molto teso il 3 giugno (Recollection 2009)”.
All'inizio si trattava di rabbia verso il PCC. Poi a poco a poco, continua lo studente citato, erano sorti alcuni dubbi su cosa esattamente fosse successo il 4 giugno. Ho iniziato a mettere in discussione la storia delle "decine di migliaia di studenti uccisi". La CCTV (TV statale cinese) ha mostrato i corpi di soldati bruciati vivi e un altro video in cui un soldato è stato lapidato a morte. Non c'era nessuna discussione su questo tra i miei amici, ma l’ho trovato difficile da dimenticare. Ho ampliato la mia ricerca anche ad altre università e college a Tianjin attraverso i miei legami di scuola superiore, sono riuscito a incontrare solo uno studente che stava sulla piazza, quella notte. Secondo lui gli studenti hanno abbandonato la piazza prima che arrivasse l’EPL. Non avendo dove dormire si diressero verso la stazione di Pechino e tornarono a Tianjin. Ci siamo laureati nel 1991, 2 anni dopo il 4 giugno 1989. I miei compagni di classe non erano stati in grado di localizzare un singolo studente che fosse stato ucciso, ferito o avesse visto i morti di quel giorno. Tianjin era la terza città più grande in Cina nel 1989 ed è la città più vicina a Pechino. Rispetto ad altre città e province, Tianjin ha fornito il maggior numero di studenti da fuori che sono venuti a Pechino. Se decine di migliaia sono stati uccisi poi per caso non ci dovrebbero essere vittime tra gli studenti di Tianjin che abbia conosciuto o di cui abbia sentito parlare?” (Recollection 2009).
Quando Alberto Jacoviello ritorna nell’autunno a Pechino prova ad intervistare un paio studenti. Gli studenti affermano che alle proteste hanno partecipato tra il 70 e l’80% degli studenti dell’Università Xinghua. In particolare i due sono stati presenti tutti i giorni. Nella loro Università sono morti quattro studenti e una decina sono stati gli arresti di cui la metà rilasciati.

Come mai, chiede Jacoviello gli studenti dichiaravano di usare metodi non violenti e “decine di blindati dell'esercito sono state incendiati, e parecchi soldati uccisi”. La risposta degli studenti è che “Ciò è avvenuto quando l'Associazione degli studenti ha perso il controllo della situazione. Ma si può affermare che pochissimi sono stati gli studenti direttamente coinvolti.” Jacoviello chiede quanti siano gli studenti morti negli scontri: “Noi non siamo in grado di parlare per le altre Università, di Pechino e di fuori Pechino. Non dimenticate che sulla Tienanmen c'erano molti studenti provenienti da tutta la Cina. Quanti abbiano partecipato agli scontri con i soldati è difficile dire. Ma riteniamo che la cifra diffusa dal governo di 23 studenti uccisi sia verosimile […]”. Nell’altra Università di Pechino ossia Beida secondo gli studenti intervistati da Jacoviello ci sarebbero stati: “Due morti e qualche decina di fermati, di cui sedici ancora nelle mani della polizia.”  Il giornalista chiede se siano stati arrestati dall’esercito: “No, a Beida l'esercito non ha mai messo piede”. Jacoviello infine riferisce “che non pochi occidentali rimasti a Pechino anche nelle sanguinose giornate dell'intervento militare, dicono oggi che le cifre [dei morti] circolate fuori dalla Cina sono probabilmente esagerate” (Jacoviello 1989).
Secondo le "Madri di Tienanmen" occorre "dire tutta la verita’, risolvere la questione e non credere a nessuna bugia. Noi abbiamo chiesto subito un’inchiesta, abbiamo chiesto a chi di dovere di riesaminare l’accaduto, di tornare a verificare che nessuno dei 194 caduti noti sino ad oggi ha commesso alcuna violenza" (La Sala 2009). Ovviamente non dato sapere se coloro che caddero siano stati i principali fautori delle violenze. Sta di fatto che erano presenti nei luoghi dove successero le maggiori violenze nonostante l'avvertimento più volte ripetuto a rimanere in casa. il numero di morti trovati dalle madri è sorprendentemente vicino alle cifre ufficiali pur tenendo conto che queste numero è comprensivo dei " suicidi"  che avrebbe provocato questo avvenimento e che non si sa bene la ragione per la quale vengano attribuiti al governo cinese. Il ragionamento sembra questo: i suicidi volevano la caduta del governo comunista. Questo non è caduto e dunque ha costretto queste persone al suicidio. Ergo, il governo è responsabile del suicidio!!!
Il Joan Shorenstein Barone Center on the Press, Politics and Public Policy, ha trattato i fatti di Tienanmen, nel suo studio sulla copertura dei media americani dei fatti del 1989 come un caso paradigmatico del nuovo giornalismo in un’epoca i cui cominciano a farsi strada anche nuovi mezzi come i primi telefoni cellulari. Lo studio analizza specifiche affermazioni che si sono fatte sulle distorsioni delle informazioni dei media USA che includono: i report emozionali delle televisioni e le immagini dello sciopero della fame, della dea della democrazia e dell’uomo che ferma la colonna di corazzati. L’idealizzazione degli studenti combinata con la delegittimazione del regime è stata resa come un conflitto manicheo creato artificialmente. I media inoltre hanno fallito nel prevedere, prima del 4 giugno, che stavano arrivando cose brutte. Come ha scritto l’ex diplomatico di Singapore Kishore Mahbubani in Can Asians Think? diversi giornalisti occidentali hanno consigliato agli studenti come comportarsi. Nessuno però rimase per affrontare le conseguenze gli studenti hanno dovuto affrontare. Infatti i giornalisti non furono semplici testimoni dei fatti ma in un qualche modo li crearono con i loro consigli agli studenti (Chou 2010).

La CNN e di altri hanno pubblicato o messo in onda servizi fotografici che rappresentano male i tempi e i posti del conflitto con l’esagerazione dei morti e feriti. Essi hanno esagerato in generale sulla gravità della situazione. Ad esempio l'ABC Nightline il 5 giugno Kyle Gibson, lo studente Pei Minxin, e il giornalista Liu Binyan parlano di imminente guerra civile con reparti dell’esercito che si scontrano tra di loro (Turmoil 1992). L’affermazione che fosse scoppiata una guerra civile fatta anche dalla CBS, nonostante le dichiarazioni contrarie dell’ambasciata americana, fu seguita da 8 mila chiamate al giorno presso gli uffici statali ed aveva messo nel panico gli americani residenti a Pechino e i loro famigliari (Turmoil 1992). La faciltà della diretta creò parecchi problemi tra i quali si includono materiali falsi o irrilevanti, la difficoltà di resistere alla pressione competitiva di dare qualche nuova notizia prima dei concorrenti che ha portato a dare per buone voci non verificate piuttosto che più bilanciati resoconti (Turmoil 1992).

E' vero. In quel posto non è successe 
nulla di ciò che i media occidentali 
hanno affermato per anni.
Un vivido saggio di immagini messe in onda da Bob Simon della CBS del 16 giugno, mostra come drammatica ed efficace possa essere la televisione persino a spese dell’esattezza. Simon in modo molto emozionato aveva parlato “della più grande piazza del mondo e della più grande menzogna dell’anno… Persino oggi si possono vedere la macchie di sangue che non sono state versate, che i fori delle pallottole che non sono state sparate, impronte dei blindati che non sono mai passati…”. Le foto però mostrano truppe che avanzano Changan Avenue dove ci sono macchie di sangue e fori di proiettili. Ma il governo cinese non ha mai negato che le truppe abbiano sparato per difendersi nel viale (Turmoil 1992). Errori geografici e l’esagerazione del numero delle vittime hanno minato la credibilità dei media, dice la ricerca del Joan Shorenstein Barone Center, e “hanno dato il pretesto al governo di Pechino per negare le proprie responsabilità”.

In effetti parecchi dei difetti dell'informazione su quegli avvenimenti, sono colpa di giornalisti superficiali come Simon, e anche della sottovalutazione di ciò che è stato messo in rilievo da Mathews secondo cui la folla ebbe le sue colpe nella violenza contro l’esercito.  Ma non sempre è solo colpa della stampa dato che le voci sulla guerra civile furono mese in giro da funzionari governativi americani prima di comparire sulla stampa, lo stesso dicasi sulle cifre esagerate delle vittime. Lo studio del Joan Shorenstein Barone Center ritiene pure che non tutti nei media abbiano avuto colpe per non avere messo in guardia su ciò che poteva succedere dopo (Turmoil 1992).

Sulla stampa americana erano comparsi riferimenti al movimento inondato di donazioni da piccoli businessmen e cittadini, studenti cinesi dall’estero, ma le  maggiori donazioni venivano da Hong Kong e Taiwan. Il responsabile delle finanze del movimento Mi Weizhuo viene anche intervistato dal New York Times sul problema delle donazioni ricevute (Turmoil 1992). Lo storico australiano Geremie Barmé arrivato a Pechino il 7 maggio discute con gli studenti la necessità di rendere pubblici i dettagli delle massicce donazioni ricevute. Il South China Mornig Post riporta in dettaglio le donazioni da Hong Kong a fine maggio e parte di queste si sostiene siano state deviate per il personale uso dei leader della protesta (Turmoil 1992). Alla fine di giugno Ted Koppel di ABC mostra le tende multicolori degli studenti e descrive come il governo le citi come un esempio di aiuto venuto dall’esterno. Il sistema di altoparlanti messi in piazza erano assai efficienti. Salisbury ricorda: “Sono rimasto sorpreso dalla forza delle casse degli altoparlanti. Avevo letto che le casse del governo intorno alla piazza erano così forti da coprire i discorsi degli studenti. Non vedo come ciò sia possibile con il volume di queste casse”, Nei Tiannanmen papers si dice che dall’America, Gran Bretagna e Hong Kong sono stati inviati in Cina più di un milione di dollari di Hong Kong. Con una parte dei fondi sono stati acquistati: di tende, cibo, computer, stampanti veloci e sofisticate attrezzature per le comunicazioni (Turmoil 1992, p. 391). Kissinger nota che evidentemente i manifestanti hanno ottenuto un sostegno da organi esterni. “Decine di migliaia di manifestanti non avrebbero potuto sopravvivere giorno dopo giorno nella piazza principale della capitale senza cibo, servizi igienico-sanitari elementari e l’assistenza medica. Quasi tutti i giornalisti erano d’accordo sull'eccellenza della loro comunicazione. L'accesso alla piazza principale della capitale non era più controllato dal governo (Kissinger 1989). Molti dei nuovi imprenditori sostennero la protesta. Wan Runnan il fondatore di una impresa di elettronica assistette il movimento con tecnologie della comunicazione, strumenti per la stampa e le fotocopie. Il Los Angeles Times da un certo peso all’arresto di un corriere che porta a Pechino 260.000 dollari americani da Hong Kong (Turmoil 1992). A Taipei dove pure al tempo non c’era un sistema democratico ci furono dimostrazioni a favore degli studenti e furono mandati fondi privati, soprattutto da parte del Kuomintang (Turmoil 1992). Le multinazionali come AT&T spesero milioni di dollari per fax e telefonate dagli Stati Uniti (McInerney 1996). 

Alan Pessin corrispondente di Voice 
of America a Pechino ignorando la 
legge marziale svolse le funzione di 
"consigliere"degli studenti accampati 
in Piazza Tiananmen
Due media esercitano influenza sulla pubblica opinione cinese l’emittente Voice of America e la BBC ambedue sia in inglese che in cinese. WuDunn sul New York Times nota che Voice of America emerge come principale sorgente alternativa di notizie sulla Cina. Gli studenti si ammassano vicino a manifesti che riportano le ultime notizie e centinaia di studenti nei campus si affollano nei dormitori ad ascoltare i dispacci. Addirittura si calcola in 60 milioni gli utenti sintonizzati (Turmoil 1992). Il governo cinese si riferisce a Voice of America come alla "voice of rumors" che vuole rovesciare il governo (Turmoil 1992). Riferiscono i Tiananmen papers che i dirigenti cinesi ritengono che The Voice of America abbia avuto un ruolo inglorioso nel gettare benzina sul fuoco e diffonde notizie infondate istigando ai disordini (Nathan e Link 2001, 391). La Voice of America si occupò per decine d’ore di propaganda a sostegno dei dimostranti. La CNN ha avuto un impatto minore, si poteva vedere negli hotel ma la maggior parte del suo pubblico è straniera.

Secondo la tesi degli avversari del giornalismo passivo l’invenzione degli avvenimenti della Piazza Tienanmen è derivata da giornalisti molto zelanti che non volevano essere secondi a nessuno nei loro scoop. La situazione tesa e confusionaria ha aiutato la diffusione della loro tesi. Ma Clark sospetta che ci sia stato all’opera un lavoro di disinformazione da parte delle autorità di Stati Uniti e Gran Bretagna nei confronti dei media ignari o complici. Foto di linee di autobus e veicoli militari dati alle fiamme dai rivoltosi vengono curiosamente mostrate ancora oggi su youtube per dimostrare la ferocia della repressione quando dovrebbero dimostrare semmai il contrario: cioè il comportamento brutale dei civili coinvolti nei disordini che protarono alla morte di numerosi soldati innocenti. Molto più convincenti sono state le foto degli studenti uccisi e della biciclette schiacciate nelle rastrelliere (Clark 2008b). Scrive un giornale di marca bordighista non certo tenero con i “burocrati” cinesi: “dopo che qualche giornale italiota aveva titolato: ‘Comunismo assassino: 30.000 morti’, oggi si rifanno i conti: ‘Sembra vero che i morti a Tien An Men sono stati forse più un migliaio che i seimila, i diecimila di cui si era parlato in quei drammatici giorni’ ("L'Unità, 9 settembre), senza parlare della quota, tra quei mille, di morti tra le ‘forze dell'ordine’ (Cammino continuo 1989)”. La stessa fonte rileva che le prime documentazioni fotografiche giunte ad Hong Kong, più che scene di massacri di studenti, curiosamente, mostrano immagini di militari bruciati vivi dai dimostranti.  Ancora non si è affermata la versione standard dei pacifici dimostranti schiacciati dai carri armati nella piazza e i media di Hong Kong indugiano sulle truci foto che ritraggono soldati dell’EPL bruciati vivi. Fiore rileva che nell'ospedale vicino al maggior punto di resistenza dei ribelli i morti erano una trentina: "Il collega della «Tanyug» mi riferisce di aver fatto una tele­fonata all'ospedale del quartiere di Fuxing, nella zona di Radio Pechino, e di aver parlato con la sorella di uno stu­dente che vi lavora da infermiera. L'ospedale ha il pianter­reno pieno di morti e di feriti. I cadaveri sarebbero almeno una trentina. Morti e feriti sono caduti sulla barricata del Fuxing Qiao, il ponte con l'uscita sul secondo anello perife­rico in direzione sud e nord. E in questo punto che le colon­ne blindate in marcia verso Tien An Men hanno trovato resistenza prima del blocco di Xidan".(Fiore 1989, pp.261).


Un soldato dell'APL bruciato vivo dagli insorti. Una foto di questo macabro 
avvenimento, la più sensazionale presa dalla Reuters, non venne diffusa
 dall'Agenzia e costituì di fatto un elemento di autocensura.
Earnshaw nota che la Reuters nascose le foto dei cadaveri carbonizzati dei soldati appesi ai cavalcavia che pertanto devono ancora essere mostrate dai media occidentali. Un fotoreporter della Reuters infatti scattò molte foto ma “La sua fotografia più memorabile per me è quella di un soldato dell’EPL che pende da un autobus all'incrocio di Xidan sulla Changan Avenue a ovest di piazza Tiananmen. Il corpo del soldato era bruciato. Era disgustoso, e si è deciso di non inviarla agli abbonati (Earnshaw S.d.)”. Come si vede la foto più sensazionale non viene inviata ai media. Una forma di autocensura ovviamente. Così le immagini imbarazzanti e più crudeli che riguardavano i soldati linciati dalla folla vengono nascoste, immagini che significano tutt’altro da ciò che viene detto (Tank man) vengono esaltate, si parla di cose non vere come i proiettili dum dum[3] per ignoranza e superficialità, dell’esercito che spara sugli studenti inermi sulla piazza e li schiaccia nel sonno dentro le tende. Non ci si chiede nemmeno come avrebbe agito un “democratico” governo occidentale in tali circostanze. Dopodiché si parla dell’effetto della “libera stampa” sulle altrettanto “libere opinioni”. “Le edicole a Pechino offrono solo resoconti grossolanamente distorti delle 'turbolenze di Pechino', ma almeno pochi li leggono e meno ancora gli credono: la stampa cinese è “controllata dal governo”. I racconti occidentali del “massacro di Tiananmen' sono ancora più distorti e inesatti, ma molti li leggono e la maggior parte ci crede: la stampa britannica è 'libera' ” (Tristram 1992).

Un rivoltoso catturato dai soldati.
Egli non è nemmeno ammanettato
Più recenti editoriali e articoli, hanno rilevato la mancanza di veridicità dei resoconti del tempo mossi da intenti non sempre detti esplicitamente. I media, ad esempio, hanno coperto il comportamento irresponsabile degli studenti. Gli studenti da una parte non volevano lottare contro l’esercito fino al sacrificio di se stessi nondimeno protrassero la loro occupazione della piazza fino alla proclamazione della legge marziale che provocò poi i morti come ha voluto coscientemente la comandante in capo Chai Ling. Infine gli studenti in esilio erano giustificati dal non proseguire i loro sforzi pro-democrazia, e si spiegava anche lo scarso successo tra la comunità cinese d’oltremare con il terrore prodotto dalla brutale e inaudita violenza del governo; terrore che addirittura si estendeva al di fuori della Cina. Lo studio più volte citato del Joan Shorenstein Barone Center,  rileva la mancanza di obbiettività della stampa americana e il suo schierarsi per partito preso accanto agli studenti. I punti negativi furono molti: insufficiente copertura degli aspetti negativi del movimento degli studenti: “C’era bisogno chiaramente nella copertura di piazza Tienanmen di scetticismo, non solo verso il governo cinese… ma anche verso il movimento studentesco e sulla manipolazione dei media, o degli sforzi che erano stati fatti in questo senso dagli studenti” dice Jeff Sommer di Newsday. Gli studenti erano ritratti come la parte giusta di un conflitto manicheo piuttosto che come un soggetto neutrale. La stampa non riportò adeguatamente gli elementi antidemocratici del movimento pro-democrazia, così come gli elementi elitisti, la volontà di non unirsi agli operai. Ci fu un’inadeguata copertura sulla origine dei fondi ricevuti dagli studenti e se venissero usati in maniera corretta e non a fini personali (Turmoil 1992). Sono pochi coloro che hanno riportano i bisticci, la condotta autoritaria dei leader, o la violazione delle regole dello sciopero della fame. Raramente si riporta la lotta di fazione all’interno del movimento studentesco: Sheahan della CBS lo fa solo il 22 giugno e la Fuller Television dopo il 27 (Turmoil 1992, p.143). Jim Manson della televisione canadese CTV confessa che “noi stavamo totalmente con gli studenti…e perdemmo la nostra obbiettività. Io ho trovato la mia retorica antigovernativa piuttosto petulante nell’occasione. Io penso sia una delle rare occasioni in cui nella storia forse non è così negativo perdere la propria obbiettività (Turmoil 1992). Per i giornalisti occidentali il PCC aveva agito offuscato la verità, nascondendo consapevolmente i fatti, per cui si tendeva a dare risalto a testimoni oculari o pseudo tali e a varie fonti accademiche pregiudizialmente critiche del Partito Comunista, esagerando alcuni dettagli e girando attorno ai temi che potessero portare ad una qualche comprensione delle azioni del PCC. Molti giornalisti pensano che rivelare i tratti negativi del movimento come l’elitarismo autoritario ecc significasse fare il gioco del governo cinese. Seth Faison del giornale di Hong Kong, South China Morning Post ha poi confessato. ‘Il cuore di ciascuno naturalmente è andato incontro a questi studenti, ha detto Faison, poiche 'chiedevano le cose che conosciamo e amiamo. “La maggior parte dei giornalisti stranieri erano desiderosi di promuovere l'idea che la democrazia liberale aveva un’attrazione universale, il che significava non solo mettere un timbro sul movimento democratico degli studenti, ma anche la raffigurarli costantemente in una luce positiva (Jones 2009)”. Un’altra fonte di distorsione dei fatti è dovuta naturalmente al pregiudizio dell’Occidente verso la Cina e il comunismo. Fiore riporta il dialogo  con il leader studentesco Wuer in cui di fronte alle richieste degli studenti il giornalista li mette in guardia "Non discuto la legittimità delle vostre richieste, ma chie­dere un editoriale sul «Quotidiano del Popolo» che smenti­sca quello del 26 aprile, con la scaletta dettata da Deng, non mi sembra ottenibile. E poi l'altra - poco ragionevole- del dialogo in diretta tv alla presenza della stampa nazio­nale ed estera. Noi del "Foreign Press Corps" vi ringrazia­mo, ma credo che anche in questo caso la vostra richiesta sia talmente sballata che non può essere negoziabile da parte del governo. I ragazzi mi guardano con un certo stu­pore. Non è il tipo di analisi che ascoltano da qualche altro straniero, o locale signora della comunità, in genere moglie di diplomatico che vuol passare come impegnata. Questi stranieri si comportano come turisti americani, in Cina gli va bene tutto, comprano tutto, non battono ciglio su qual­siasi prezzo. E cosi è per la rivoluzione democratica di que­sti ragazzi. Hanno bisogno di buoni consigli, non di incita­menti" (Fiore 1989, pp. 115-116). Invece di buoni consigli gli studenti ebbero dei cattivi esempi.

Sentiamo un ex manifestante pentito sul ruolo dei media occidentali. Egli dice di essere stato tra i milioni che nell’89 hanno dimostrato a piazza Tiananmen. Egli studiava presso l'Università di Business e Economia Internazionale. “Tra tutti i compagni di scuola nella nostra università, nessuno è stato ucciso o ferito il 4 giugno”. A quel tempo egli dice di essere stato giovane e ingenuo. Andò a piazza Tiananmen in diverse occasioni da maggio a giugno. Era molto eccitato dato che per la  prima volta i suoi connazionali potevano dire apertamente che il Partito comunista non era poi così "Grande, onorevole e corretto". Ha visto la corruzione e l'ingiustizia ovunque nel paese e nel sistema. Dice di essersi sentito veramente oppresso dal potere del partito comunista. La gente era povera. Egli ammirava lo stile di vita occidentale, ricco e libero. Ogni notte ascoltava la Voice Of America. Il segnale si sentiva molto male a causa delle odiose interferenze radio del governo che però non scoraggia né lui, né i suoi compagni di stanza. Le uniche notizie su piazza Tiannmen venivano da oltremare, in particolare dalla citata VOA e dalla BBC. Egli e i suoi compagni di classe erano tristi e pieni di rabbia per la repressione. E' stato un tragico evento storico per gli studenti, l'esercito, e tutto il paese. Perdendo la speranza sulla Cina, ha iniziato a pianificare di studiare all'estero dopo il 4 giugno (Recollection 2009). Venti anni dopo la Cina è cambiata, il partito comunista è cambiato in meglio e bisogna essere felici per la Cina. Il quattro Giugno è stato un campanello d'allarme per tutti. Ma ecco le sue considerazioni finali: “La mia visione del mondo libero e della democrazia occidentale è cambiato totalmente dopo aver vissuto in Occidente per tanto tempo. La democrazia dell'Occidente non è niente altro che egoismo, è una menzogna (bullshit). Ecco il mio avvertimento: l'Occidente non ha mai veramente a cuore l'interesse del popolo cinese” (Recollection 2009).
"La Voice of America ha fatto conoscere, continua l'ex contestatore, la democrazia e l'America a noi dissidenti cinesi e noi abbiamo amato la vita libera, ricca e felice degli americani. L'America era il paese modello nel mondo. Oggi, dopo 11 anni che vivo in un paese democratico devo ammettere che conoscevo molto poco della democrazia. Tutto quello che sapevo erano belle parole, più la convinzione che con la democrazia si risolvessero tutti i problemi della Cina. La mia famiglia emigrò in Australia nel 1998. La vecchia cicatrice di Tiananmen è stata poi riaperta ancora varie volte. Dal libro di testo australiano al liceo ho scoperto che "migliaia sono stati uccisi dal governo comunista". Il numero varia da una fonte all'altra. Non c'è dubbio l'uccisione è avvenuta, ma perché è stata così tanto esagerata? Ho avuto un crescente senso di nausea verso questo tipo di distorsione nel corso degli ultimi 10 anni. Gli studenti sono stati spinti contro l’EPL come un uovo è stato gettato sulla dura roccia, sicuramente la roccia ha rotto l'uovo, ma anche colui che ha lanciato l'uovo non deve essere ritenuto responsabile? Il mio sospetto è dovuto al comportamento di quei leader degli studenti che una volta seguivo. Essi si sono allontanati dai miei amici e da me quando si sono confusi con i separatisti e il Fulang Gong" (Recollection 2009).
La stampa cinese, dal canto suo,  cercò di avvalorare il carattere democratico e patriottico del movimento, sostenendo che fosse in linea con gli orientamenti del partito. La stampa cinese in quel frangente si può dire abbia addirittura dato una mano al movimento degli studenti. Il Los Angeles Times ha dato questo sommario: "Gli organi di propaganda - la rete tv di Stato, il Quotidiano del Popolo, la Xinhua – hanno fatto registrare un’opposizione alla legge marziale." "Tutti segnali incoraggianti - nella stampa cinese, in televisione, nelle strade, può ora essere visto, in retrospettiva, come l'ultimo, disperato pubblico tentativo di Zhao e dei suoi alleati per galvanizzare il sostegno, in particolare all'interno dell'esercito ... " Il Washington Post nella sua copertura di una manifestazione di 100.000 persone che chiedevano una riunione d’emergenza dell’Assemblea del Popolo che la Xinhua aveva sostenuto c’erano quasi 1.000.000 di persone, "forse 10 volte di più di quanto fossero in realtà". Inoltre nonostante la legge marziale il governo cinese ha permesso alla stampa occidentale di continuare a fare uso dei loro impianti di trasmissione (Kelly 1992). "I giornalisti in Cina non hanno mai avuto tanta facilità a parlare con la gente come nel periodo finale del «Maggio di Pechino»" rileva il corrispondente dell'ANSA (Pecora 1989, pp.27-28). L'agenzia ufficiale del governo scrive dell'ultima manifestazione, precisando che la maggioranza dei cartelli di protesta era diretta contro il primo ministro Li Peng. "Potrebbe essere il dispaccio di un'agen­zia americana che riferisce di una dimostrazione davanti alla Casa Bianca con slogans anti-Bush. Subito dopo batte un pezzo sui militari della legge marziale che esortano il popolo di cui sono espressione a collaborare per il ripristino dell'ordine. Il telegiornale della sera apre con la sequenza della di­mostrazione di massa e la voce dello speaker frena a stento le inflessioni del suo entusiasmo" (Fiore 1989, pp. 176-177). Pecora scrive a sua volta: "Il grido che si levava dalle folle era f ormai uno solo: «Li Peng dimettiti» e, questa volta, era talmente forte da non poter essere più ignorato, legge marziale o no. La notizia della manifestazione fu data dal principale notiziario della televisione e della radio di Stato nei suoi giusti termini: quella sera dunque tutta la nazione seppe che le due principali città cinesi erano in rivolta contro il governo e contro la legge marziale. Sul piccolo schermo comparvero a lungo due enormi striscioni portati in corteo dai dimostranti a Pechino che recitavano: «Ritirate le truppe e abrogate la legge marziale»; «Bisogna salvaguardare la costituzione e i diritti umani». Per il cronista abituato agli imbarazzati silenzi stampa del socialismo reale e obbligato a sintonizzarsi di continuo sulla «voce del popolo», quello fu un giorno da segnare. Alcuni pensarono addirittura per un momento che l'affronto portato dai media al governo fosse una conferma delle imminenti dimissioni di Li Peng" (Pecora 1989, p.109). Pecora continua: "Il Quotidiano dei contadini, letto da quei tre quarti della nazione che viveva gli avvenimenti da spettatore, immerso nell'arretratissima realtà sociale delle campagne cinesi, riportava significativamente in prima pagina, il 20 maggio, una serie di interviste agli operai scesi in piazza a dar manforte agli studenti. «Non siamo qui per creare disordine, ma perché anche il più umile degli uomini ha la responsabilità del futuro del proprio paese e perché siamo fuori di noi dalla rabbia, dopo la minaccia militare contro gli studenti», dichiarava il responsabile della sezione di partito di una grande fabbrica tessile della capitale. «La lotta alla corruzione non basta, qui bisogna cambiare sistema, bisogna avere più libertà», diceva un altro senza che il giornale, destinato a indottrinare le grandi masse rurali, effettuasse alcuna censura (Pecora 1989, p.106). I media cinesi tendevano comunque ad informare sebbene a nessuno sfuggisse il fatto che simpatizzavano con gli studenti, quelli occidentali invece erano eccessivamente partigiano e tenderanno sempre più a fare propaganda.

La maggiore manipolazione dei media nei giorni seguenti la legge marziale viene dai supporter di Zhao che cercano di convincere la stampa straniera e i cinesi che il loro uomo sta prevalendo nella lotta per il potere. Virtualmente tutte le fonti dei media sono dalla parte dei riformisti (Turmoil 1992, p. 129). Ancora il giorno prima della proclamazione della legge marziale la televisione nazionale: "abbandonata ormai ogni velleità di rispettare la programmazione normale, ripeteva ogni mezz'ora il breve filmato dell'apparizione di Zhao in piazza e, sempre a intervalli regolari, quello dell'in­contro che era avvenuto il giorno prima, all'Assemblea del Popolo, tra Li Peng e una delegazione di studenti provenienti dalla tendopoli sulla Tiananmen" (Pecora 1989, p. 86). Non si può dire che il popolo cinese non fosse informato.

La sorgente delle informazioni proviene unicamente dall’ala liberal o dai parenti dei giovani studenti coinvolti nelle manifestazioni, il flusso dei documenti fatti trapelare e le voci erano prevenute nei confronti del governo (Turmoil 1992,138). Gli studenti avevano spesso i resoconti delle riunioni come il discorso del presidente Yang Shangkun (Turmoil 1992, p.136). I rumor hanno in Cina in generale un un funzione diversa di quella dei paesi occidentali in quando sono l’unica fonte alternativa di notizie sebbene in quel periodo i media fossero schierati contro il governo (Turmoil 1992, p.130). La broadcast station degli studenti diffondeva deliberatamente notizie false, tipo le dimissioni di funzionari del governo. Essi avevano emesso pass per la stampa e in base a ciò che vi era stampato si poteva penetrare nei vari circoli concentrici in cui era stata divisa la piazza (Jones 2009). Essi fecero anche circolare voci che il ministero degli Affari esteri e una dozzina di altri ministeri avevano già "dichiarato l'indipendenza" dal Consiglio di Stato e che circa 30 paesi del mondo avevano rotto le relazioni diplomatiche con la Cina (Kelly 1992). "Ma come rileva lo studio, un diplomatico o un giornalista deve però sempre chiedersi “chi diffonde queste voci, e perché sono diffuse" (Turmoil 1992, p.131).

Secondo Chang ci sono molteplici fattori che in un tipo di avvenimento come quello di Tienanmen contribuiscono all’esagerazione dei dati di fatto in particolare del numero delle vittime e della pretesa brutalità dell’avversario da parte dei manifestanti. Innanzitutto l’esagerazione razionale dei fatti che porta le presunte vittime di fatti traumatizzanti ad esagerare la brutalità dell’avversario sottolineandone l’immoralità. Questo nell’intento di portare sostegno al movimento di protesta e dei suoi ideali. Queste esagerazioni hanno un loro modo specifico di diffusione che sono le “voci di corridio”, i “rumors” che diventano autentiche leggende metropolitane. Viene riportata l’esperienza dell’accademico Su Fubing al tempo studente a Tianjin che sostiene che l’unica fonte di informazioni erano gli altoparlanti messi in piazza e nelle università dai manifestanti. Sebbene Su sostenga di non conoscere una sola persona che sia morta e nemmeno i suoi conoscenti ne conoscono, subito trapelò la voce di decine di migliaia di morti. Le notizie provenivano in modo caotico e senza controlli ed erano tutte a favore del movimento e contro il governo. Dingxin Zhao nel libro The power of Tienanamen quando l’opinione pubblica si è schierata a favore del movimento e contro il governo si è anche rivolta a canali non ufficiali. La quasi totalità di queste voci si è rivelata infondata oppure frutto di fabbricazioni deliberate che venivano trasmesse indipendentemente dal loro valore di verità. Zhao continua,"i partecipanti attivi in un movimento sociale di solito credono a ciò per cui stanno lottando. Pertanto, la fabbricazione di voci non può essere considerata come immorale in se stessa fino a quando i partecipanti ritengono che questo aumenterà le possibilità di ottenere i benefici collettivi per i quali si battono”. Un altro fattore di distorsione prosegue Chang è quello non intenzionale. Quando si chiede a un testimone oculare di stimare il numero dei morti, gli si chiede una missione impossibile. Egli potrà essere testimone di eventi isolati che raramente compongono un quadro complessivo. Se si è assistito ad un vento traumatizzante si tenderà a sopravvalutare il numero dei morti. Queste stime vengono di solito citate come fonti di prima mano in maniera del tutto discutibile. Dingxin Zhao riferisce delle voci esagerate che erano nell’aria subito dopo la repressione del tipo "Oltre ventimila civili sono morti nel massacro." Questo tipo di distorsione dei fatti può essere parzialmente attribuito a esagerazioni non intenzionali derivanti da una reale incertezza.

Albert Chang ricorda le discussioni tenute a Stanford con un gruppo di studenti cinesi in cui si analizzavano le informazioni parziali che sono state date dai due campi:
Alla fine, noi, come studiosi alla ricerca della verità, dobbiamo interiorizzare la lezione che la costruzione della storia sarà sempre fuorviata dai protagonisti sul campo. Nel formulare l'immagine di un paese come la Cina, bisogna rendersi conto che la sua storia non è mai in bianco e nero. Ciò che finisce nelle interviste, nei libri e racconti di testimoni oculari è spesso soggetto a distorsioni da entrambe le parti, atti che in ultima analisi forniscono un'interpretazione faziosa degli eventi storici, agli occhi di gente molto differente da parti molto diverse del mondo. Procedere in avanti, quindi, richiede che ognuno di riconosca le distorsioni, qualora esistano, che ognuno di noi proceda a studiare, interiorizzare e trasmettere la consapevolezza che la verità oggettiva che cerchiamo può benissimo essere quello che è nascosta sotto gli strati di ciò che è apparente (Chang 2005).
L'atteggiamento della stampa cinese fu, almeno fino ad un certo punto, di simpatia con gli studenti, e sicuramente più obbiettivo della stampa occidentale. "Il pubblico cinese ha avuto una settimana di glasnost sul­la stampa e alla radio-televisione che è forse l'unico regalo del summit cino-sovietico... I 1.013 giornalisti di Pechino, che hanno presentato una pe­tizione alla Federazione Nazionale della Stampa, control­lata dalla commissione Propaganda del CC, chiedono an­ch'essi l'apertura di un dialogo con i dirigenti del partito e del governo per riformare il sistema della stampa cinese. Fra loro, i 400 redattori dell'agenzia «Nuova Cina» che hanno sfilato con gli studenti, tappandosi la bocca e issan­do i loro cartelli. La televisione ha trasmesso i colloqui del segretario Zhao Ziyang con gli studenti ricoverati all'ospe­dale, con i loro discorsi in vivo al paese che simpatizza com­mosso dal loro sciopero della fame.E una prima volta, mai vista in Cina, nella Cina della Repubblica Popolare. Sullo storico incontro tra Deng e Gorbaciov hanno pubblicato una foto, ma sui moti non violenti di Tien An Men hanno stampato pagine di foto­grafie. Anche il compassato «China Daily», in pratica una edizione in inglese estratta dal quotidiano del partito, sta­mattina ha aperto a tutta pagina sugli studenti con un titolo sul fallimento della trattativa col primo ministro Li Peng. E all'interno, una delle otto pagine da cui è formato è dedicata a istantanee scattate sulla piazza della protesta sotto il titolo: «Giorni commoventi di lacrime e di applau­si»" (Fiore 1989, pp. 121-122). Scrive Raimondo "Insediati in piazza per settimane, gli studenti sono stati salutati, in un primo momento, dall'ala radicale riformista del PCC, e anche alcuni dei più ortodossi, come i precursori di un nuovo spirito di "democrazia socialista". Hu Qili, il capo partito responsabile della stampa e propaganda a quel tempo, era in sintonia con le rivendicazioni democratiche degli studenti, e ha dato il via libera ai mezzi di comunicazione per aprire e cominciare a riferire quello che stava accadendo in piazza. Gli studenti sono stati debitamente ricompensati con una prima pagina con foto e notizie e storie adulatorie nel numero del 5 maggio di ufficiale del Quotidiano del Popolo. [...] Il 18 maggio, il Quotidiano del Popolo ha messo la visita di Gorbaciov in un piccolo angolo all'interno e ha pubblicato sei servizi in prima pagina sulla protesta studentesca. Le notizie venivano strombazzate: "Un milione di persone di tutti i ceti sociali dimostrano a sostegno della sciopero della fame degli studenti", "Salva gli Studenti, Salva i ragazzi!" Altri giornali in diverse aree del Paese si sono uniti al coro. Il Quotidiano del Guangming è uscito con sette storie in prima pagina sui tumultuosi eventi di Pechino, proclamando: "Le condizioni degli studenti e il futuro del paese toccano il cuore di ogni cinese che ha una coscienza." (Raimondo 1999). La CBS intervista un giornalista della Voice Of America, Al Pessin, che sostanzialmente ignorava le restrizioni della legge marziale e che disturbava tre delle cinque frequenze della radio. Il 23 maggio Bush chiede ai cinesi di non disturbare le frequenze e il 24 maggio ABC riporta che Voice Of America, non è disturbata. I leaders del governo incontrano tre volte gli studenti e la copertura della CCTV offre la possibilità di mostrare il governo in una luce meno negativa. I leaders sorridono, esprimono preoccupazione per la salute degli scioperanti della fame, stringono mani, fanno autografi (Turmoil 1992). Ma fondamentalmente la copertura dei media cinesi non è ostile agli studenti come si pensa in Occidente. Raimondo racconta poi l'episodio del del dibattito su Tienanmen passato in diretta dalla Televisione cinese (ma non era vietato parlarne?): "I commentatori americani sono rimasti sorpresi che il dibattito Clinton-Jiang Zemin sul significato di Tiananmen sia stato trasmesso in diretta sulla rete televisiva controllata dallo stato. Il loro stupore è eguagliato solo dalla loro ignoranza: i media cinesi sono relativamente aperti per qualche tempo. Dal momento che il regime comunista è stato installato nel 1949, la media è stata un campo di battaglia nei conflitti incessanti tra fazioni all'interno del Partito comunista, e, in una certa misura, nel paese in generale."(Raimondo 1999)[4].

Prima della repressione di piazza Tiananmen, i media era nelle mani dei riformisti e hanno avuto il coraggio di trasmettere le osservazioni indiscrete a Gorbaciov del capo del partito Zhao Ziyang, durante la visita di quest'ultimo, che Deng, pur senza alcuna carica ufficiale, era veramente al timone.
I governati cinesi non era affatto quegli uomini spietati interessanti solo al “profitto”, dialogarono con gli studenti, finché poterono. Uno di coloro che dialogarono con gli studenti fu proprio Wen Yubang attuale primo ministro cinese. Francesco Sisci, corrispondente della Stampa e del Sole-24 ore, che a Tienanmen c’era, sottolinea i paradossi della situazione venti anni dopo: “I leader attuali erano tutti contrari alla repressione, gli stessi studenti che allora protestavano ora sono ricchi uomini d’affari o potenti politici.  Ma a dispetto delle antiche simpatie oggi essi pensano che la repressione del movimento era inevitabile e quella repressione ha alla fine evitato alla Cina la sorte dell’Urss, collassata politicamente ed economicamente grazie alle riforme di Gorbaciov” (Sisci 2009b).

In una discussione sul sito della BBC un partecipante, J. Cai di Xian, scrive: “Ero uno studente e ho preso parte nel 1989 alle manifestazioni pro-democrazia a Pechino. Sono stato contro il governo cinese prima, ma ho cambiato idea su quello che è successo, come molti altri che conosco. Il nostro governo ha totalmente conquistato il mio cuore, vietando il movimento del Fa Lun Gong, negli anni ‘90, e assolutamente ora li sostengo. Guardando indietro agli avvenimenti del 1989, penso che il governo cinese ha fatto la cosa giusta in quel momento. Io non sostengo gli uomini che hanno guidato le manifestazioni pro-democrazia e che successivamente sono fuggiti nei paesi occidentali" (Your views 2009). Ma il miglior giudizio su Tienanmen fu dato da coloro che lì c’erano e che poi scrissero il saggio politico di maggior successo degli anni ’90: La Cina può dire no!. L’Occidente era stata solo un’illusione ottica!

I media occidentali, piuttosto delusi dai limiti della 'glasnost' in Unione Sovietica, hanno deviato tutta l'attenzione sulla folla di Tiananmen. Si è assistito ad un quasi incontrollato flusso di informazioni via fax, email, e persino telefoni cellulari. I media hanno creato il fascino di una 'Woodstock' cinese completa di musica rock, i motociclisti (i Flying Tigers,  gli Hell's Angels di Pechino che pattugliavano la piazza), e una dose inebriante di flower power o del ’68 europeo. E spesso con questi paradigmi tutti occidentali è stato descritto il movimento. Ma è indubbio che molti elementi in comune ci fossero. Uno studente di allora descrive bene la situazione. Gli studenti ricevevano molta solidarietà, i camionisti trasportavano gratis gli studenti dall’Università alla piazza. Cibi e bevande gratis donate da organizzazioni e imprese. “Gli studenti erano molto organizzati e pacifici. Gli studenti si tenevano le mani per formare una barriera di sicurezza. Ero molto eccitato per avere la possibilità di tenere le mani della ragazze della mia scuola. A proposito di ragazze, un giorno, ho anche visto un leader degli studenti della scuola accarezza il seno di una studentessa nella parte posteriore del sedile del bus sulla strada per la piazza. Nessuna lezione, nessun lavoro a casa. Cibi e bevande gratis. E' stato molto divertente (Recollection 2009).


[1] Book: Quelling the people, 1999, citato in (Cheek 2007, p. XIX). Altre valutazioni riducono i morti a circa 300: “Ci furono dei morti a Pechino il 4 di Giugno? Si, inclusi molti soldati dell’esercito Popolare di Liberazione. Ci furono battaglie di strada? Si, alcune di queste ovviamente molto pesanti. Probabilmente 300 persone morirono il 4 Giugno..”più o meno un uguale numero di dimostranti e soldati. (Becker 1999).
[2] Interessante conoscere il metodo della ricerca: “Ogni stanza dormitorio presso il nostro college è stato progettato per ospitare 7 studenti. Subito dopo aver iniziato il nuovo semestre, i miei compagni di stanza e io abbiamo iniziato la nostra ricerca porta a porta. La ricerca è stata fatta per lo più attorno alle 13:00-14:00 e 22:00-22:30. Di solito si trovano tutti e 7 gli studenti nella stanza alle 13:00-14:00 circa che schiacciano un pisolino prima di lezioni pomeridiane. Il college ha una regola che tutte le luci devono essere spente alle 22:30. Così, la maggior parte degli studenti sono già tornati al dormitorio alle 22:00. Abbiamo bussato alle porte in quel periodo per controllare fisicamente se tutti e 7 gli studenti erano lì. Quando c'erano gli studenti assenti dalla stanza poi abbiamo dato uno sguardo se gli gli effetti personali erano lì. Le stanze in cui c’erano tutti e 7 gli studenti le abbiamo cancellate dalla nostra lista. .. tutti gli studenti sapevano che c'erano degli studenti uccisi in quel giorno, molti studenti hanno fatto una loro di ricerca, almeno cercando di ritrovare se i gli amici della stessa città, dello stesso liceo stessero bene. Di questo argomento si è apertamente parlato tra gli studenti. C’erano diversi studenti membri del PCC nella nostra facoltà, non hanno agito in modo diverso dagli altri studenti durante il movimento studentesco. Ho ampliato la mia ricerca alle altre università e college principalmente attraverso i miei amici e compagni di liceo. Di solito hanno dato una risposta è stato abbastanza buona per coprire le loro facoltà. I miei compagni di stanza ha fatto lo stesso. Nei 2 anni seguenti siamo riusciti a coprire la maggior parte delle università e college a Tianjin e la maggior parte delle facoltà al loro interno. Io non escludo la possibilità che abbiamo semplicemente sfuggita una vittima o più vittime all'interno di una Facoltà di un certo college o università. Ma questa possibilità è abbastanza remota. Come ho detto prima che le notizie volano tra università e college  (Recollection 2009)”.
[3] Lo afferma la giornalista Jan Wong di cui un blogger che ha assistito alle sue conferenze dice: "Jan Wong, è stata la corrispondente del Globe and Mail in Cina per sei anni, e anche durante gli eventi in questione. Lei è stata tra i creatori del mito di cui sopra (del massacro in piazza). Lei adora deliziare il pubblico con la dichiarazione del governo cinese, fatta poco dopo l'incidente, che "nessuno è morto in Tiananmen Square." Il pubblico scuote la testa in un attimo di stupore, indignato per la perfidia di quei comunisti bugiardi, e Jan sorride con grazia."(Robinson 2011)
[4] Ecco il dibattito mandato in onda dalla televisione cinese: JIANG: "Tra Cina e Stati Uniti ci sono molte differenze nell' ideologia, nei valori, nelle tradizioni culturali e su alcuni problemi. Ma tutto ciò non deve ostacolare le nostre relazioni: il mondo è colorato". CLINTON: "Poco fa, nella piazza storica Tienanmen, ho sentito gli echi del passato della Cina e gli appelli per il suo futuro. Lì, nove anni fa, cinesi di ogni età hanno alzato la voce in nome della democrazia. Tra me e lei c' è ancora disaccordo su quelle vicende: io credo, così come il popolo americano, che l'uso della forza e la tragica perdita di vite umane furono uno sbaglio. Io credo che la libertà di parola, di associazione e di culto siano un diritto di ogni popolo". JIANG: "Ci sono state polemiche su alcuni dissidenti a Xian. Voglio chiarire che in Cina non è probito intervistare nessuno, purché nel rispetto della legge. Ma se alcune attività mettono a repentaglio la sicurezza, le autorità hanno il dovere di agire. Si è parlato di duemila dissidenti. Ripeto: da noi c'è il diritto di parola, ma se si viola la legge si è puniti come prevede la legge". CLINTON: "Nel summit con Jiang ho dato un paio di suggerimenti sulla questione dei dissidenti: perché, ad esempio, lasciare in prigione i condannati per reati non più previsti dalle leggi di oggi? Perché incarcerare quanti commisero atti non-violenti nel giugno 89? D'altra parte va preso atto che nella nuova atmosfera è possibile parlare di queste cose con franchezza e onestà". JIANG: "Il governo cinese rinnova l'impegno solenne a promuovere e proteggere i diritti umani e le libertà fondamentali. D' altra parte, così come gli Stati Uniti hanno un reddito pro-capite di 30mila dollari l' anno e noi di meno di 700, ci sono differenze di approccio. La priorità della Cina è il diritto alla sopravvivenza e allo sviluppo, assieme al rafforzamento della democrazia. Ho ascoltato attentamente le parole di Clinton su Tienanmen, ma voglio ripetere che, sui disordini politici del 1989, il popolo cinese è giunto a una conclusione storica: se il governo non avesse preso misure ferme, non ci fosse stata la stabilità di oggi," (Ar. Zam. 1998)

Bibliografia

Ar. Zam. 1998. "Siamo partner, non più nemici." La Repubblica.

Beam, Christopher. 2009. “Tussle in Tiananmen Square. What Does the Chinese Government Say Happened at Tiananmen Square?” Slate Magazine. http://www.slate.com/id/2219697/.
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Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.