Benvenuti

Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

mercoledì 9 maggio 2012

5.4: Le tre rappresentanze

5. La via del socialismo


Per quanto riguarda il requisito che non ci deve essere alcun polarizzazione, abbiamo pensato molto a questa domanda nel corso di formulazione e nell'attuazione delle nostre politiche. Se vi è polarizzazione, la riforma sarà stata un fallimento. E' possibile che emerga una nuova borghesia? Una manciata di elementi borghesi può apparire, ma non si formerà una classe.
Deng Xiaoping (1985)

La strategia dello sviluppo in tre fasi è stata formalmente approvata e adottata in occasione XIII Congresso del PCC. Nella sua relazione al Congresso, Zhao Ziyang, l'allora Segretario Generale della CPC ha affermato: "La Cina è in fase primaria del socialismo, la rivoluzione in Cina si è attuata in un paese arretrato. Poiché il nostro socialismo è emerso dal grembo di un paese semi-coloniale, dalla società semi-feudale, con le forze produttive molto iarretrate rispetto quelle dei paesi capitalisti sviluppati, siamo destinati a passare attraverso una fase primaria molto lunga. Durante questa fase si deve realizzare l'industrializzazione, la commercializzazione e l'ammodernamento della produzione, che molti paesi hanno ottenuto in condizioni capitalistiche ".

Anche se Zhao è stato rimosso dalla carica di segretario a seguito dei disordini 1989, il Partito ha continuato ad aderire alla tesi che solo la continua crescita delle forze produttive può portare a nuovi rapporti di produzione. Jiang Zemin nel suo primo discorso al partito dopo aver assunto il suo incarico, ha chiarito che l’argomento dello sviluppo delle forze produttive è centrale nel processo di riforma socialista della Cina. In un discorso che segna il 40° anniversario della costituzione della RPC, ha detto: "il socialismo è un sistema che richiede costante sviluppo e miglioramento sulla sua propria base. Per basarci sulla realtà cinese, riassumere la nostra esperienza pratica e in conformità con il livello reale delle nostre forze produttive sociali e dei bisogni oggettivi di un ulteriore sviluppo, per regolare nuovamente la parte dei rapporti di produzione che non sono conformi con lo sviluppo delle forze produttive, e regolare di nuovo la parte della sovrastruttura che non sono conformi alla base economica: questo è ciò che intendiamo con la riforma socialista." Il messaggio di Jiang è che anche nel ricambio della leadership la linea di base del partito per raggiungere l'obiettivo della modernizzazione socialista attraverso la riforma e la strategia delle porte aperte rimane invariata.


Il PCC ha avuto l'arduo compito di portare la Cina in avanti sulla strada del miglioramento del tenore di vita, pur restando impegnato con gli altri obiettivi del socialismo. La risposta globale di società cinese a fenomeni indesiderati, come la disparità di reddito, la corruzione, è stata di grande allerta. Il popolo cinese, ha dimostrato un notevole senso di responsabilità nel dare sostegno incondizionato, ma non acritico al Partito e partecipando al programma di ricostruzione della nazione dopo i lunghi anni caotici e turbolenti della Rivoluzione culturale.  

Scrive Arrighi a proposito dello spirito pragmatico dei cinesi:
Accelerare e migliorare la costruzione
del partito secondo le esigenze
delle 'tre rappresentanze', 2002
La stretta corrispondenza fra le trasformazioni in corso nell'economia politica cinese e la concezione smithiana di sviluppo su basi di mercato non significa che le riforme di Deng si siano in qualche modo ispirate ai testi di Smith. Come ho già notato, le operazioni portate avanti da un funzionario del diciottesimo secolo come Chen Hongmou anticipano ciò che Smith teorizzerà nella Ricchezza delle nazioni. Si tratta di scelte di politica economica che non nascevano dalla teoria, ma da un'impostazione pragmatica dettata dalla tradizione cinese per la soluzione dei problemi di governo nella Cina del medio periodo Qing. Indipendentemente dal fatto che Deng abbia o meno letto le opere di Smith, anche le sue riforme sono il frutto di un approccio pragmatico ai problemi di governo della Cina del dopo-Mao (Arrighi 2008)..
I criteri che indicati da Deng per giudicare una società socialista sono tre. Una società va verso il socialismo se promuove la crescita delle forze produttive, se è favorevole a rafforzare lo stato socialista, se è favorevole ad innalzare il livello di vita del popolo. L'economista marxista Cheng Enfu, in una conferenza a Stoccolma, ha detto che per sua natura l'obiettivo del socialismo e del comunismo è quello di realizzare la ricchezza comune, eliminare lo sfruttamento e il grande divario tra ricchi e poveri. Questo sarà un lungo processo di evoluzione e dell'esperienza di innovazione del sistema. Cheng ha detto che ha Cina ha formato a poco a poco la sua classe della borghesia imprenditoriale nazionale. La Cina ha cinque milioni di datori di lavoro privati. Il governo richiede di trattare bene le relazioni tra datori di lavoro e operai.

Jiang Zemin ha fatto introdurre nello statuto del partito la teoria delle tre rappresentanze, ovvero: le forze produttive più avanzate, la cultura più avanzata, gli interessi più ampi del popolo e del paese. Jang Zemin dichiarò al XV Congresso nel 1997: “Tutte le forme di proprietà che favoriscono lo sviluppo delle forze produttive socialiste, il rafforzamento della potenza dello stato socialista e l’innalzamento del livello di vita del popolo possono e debbono essere ammesse per il bene del socialismo”. In altri termini, l'economia socialista doveva essere un sistema con più forme di proprietà: sociale, privata, cooperativa e persino piccolo-borghese, tenendo conto delle aziende agricole individuali.(Trocini 2011)
Dunque il PCC non rappresenta più solo “l’avanguardia della classe operaia” ma tutto quello che Gramsci (che oggi rivive un nuovo exploit in Cina) chiamerebbe il “blocco storico” sociale che contribuisce alla costruzione del socialismo di mercato nell'attuale fase:
…nel novembre del 2002 il partito proclamò ideologicamente che intendeva rappresentare l'intera Cina, e non soltanto le masse operaie e contadine, diventando una sorta di partito nazionale; mentre, senza colpo ferire, si dava da fare per creare una variante dell'economia di mercato. Come necessità politica di breve periodo il principio della "triplice rappresentanza" ha costituito un adattamento cruciale (Díaz Vázquez 2007).
Il Partito comunista cinese rappresenta pienamente
 l'orientamento della cultura progressista
della Cina, 2002
 
La teoria delle “Tre rappresentanze”, (caratteristica della “terza generazione” di dirigenti comunisti) dunque ha indicato la via dello sviluppo del “socialismo di mercato” nell’epoca del crollo dei sistemi socialisti dell’Est Europa, riconoscendo il ruolo progressista dei diversi strati sociali (operai, contadini, tecnici, intellettuali, ceti medi produttivi e imprenditoriali). Al sedicesimo congresso gli imprenditori sono stati definiti come forze produttive avanzate, mentre, la “cultura avanzata” indica gli intellettuali e l’elite tecnica che sono anche essi parte integrante dell’alleanza. Infine è il partito che cura storicamente gli interessi della stragrande maggioranza del popolo ossia degli operai e contadini e che coordina il “blocco storico-sociale”. Il risultato è stato la formazione di un blocco sociale che ha resistito all’assalto ideologico dell’imperialismo occidentale. Un “capitalista” è entrato come membro candidato del Comitato Centrale. Per la verità si tratta di un manager di una società a maggioranza statale.

L’ingresso dei capitalisti allora è una delle tante metamorfosi dell’eresia cinese:
Nonostante, nel caso dell’esperienza della modernizzazione in Cina non entrarono in crisi soltanto i componenti basilari del “modello economico centralizzato”, gli ingredienti della teoria leninista del partito non risultarono inalterabili, suggeriscono una sorta di adeguamenti precisi, la precedente “eresia” rivoluzionaria della presa del potere “dal campo accerchiando alla città” sembra ora che integrerà, nel futuro prossimo, l’attuazione conseguente della “tripla rappresentatività” come sequenza e sviluppo logico del processo rinnovatore dell’economia. Nella “tripla rappresentatività”, l’integrazione al partito di operai, di contadini ed il diritto che acquisiscono anche i “nuovi uomini dinamici”, si accetta la deduzione scientifica, l’esperienza, la direzione e l’ubicazione storica del PCC (Hutton 2007, 117).
Hutton si stupisce del fatto che gli imprenditori entrino nel Partito. Ma anche molti uomini d'affari sono stati attratti dalle promesse di Mao di un sostegno costante per le imprese private. Durante la guerra civile che seguì dopo la sconfitta del Giappone nel 1945, questi gruppi non strettamente di partito ormai soprannominati la 'Terza Forza', hanno spostato il loro sostegno al Partito comunista garantendo la legittimità nazionale per la vittoria dei comunisti nel 1949.(Dirlik  2008).
Ma proprio dall’esempio di un Partito di massa quale il PCI togliattiano nelle regioni rosse italiane possiamo ricavare la stessa esperienza. In Emilia spesso gli imprenditori erano ex-operai ed ex-partigiani licenziati per le lotte politiche che erano stati costretti ad inventarsi un lavoro artigianale per sopravvivere per poi si dar vita a vere e proprie aziende. La stessa cosa è successa nel PCC. Scrive Hutton:
… un buon quinto degli imprenditori iscritti al registro è entrato nei ranghi del partito — fino al 30 per cento secondo altre stime, ossia sei volte la percentuale sulla popolazione nel suo complesso". Un sondaggio accreditato condotto fra gli imprenditori non iscritti al PCC segnala che, di essi, un quarto avrebbe intenzione di iscriversi e metà di questi avrebbero già avviato le pratiche. In altre parole il partito sta plasmando una nuova classe di ex funzionari e militanti impegnati in iniziative private, che dipendono per il loro lavoro dai network del partito e dello Stato, che condividono la nuova ideologia e ne ricavano abbondanti vantaggi (Hutton 2007).
La tripla rappresentatività assomiglia dunque alla politica del Partito Comunista Italiano nel dopoguerra ovvero la strategia della “democrazia progressiva” come è rintracciabile nel famoso discorso di Togliatti “Emilia e ceti medi” in cui ci si rivolgeva appunto ai ceti medi produttivi, e la sede di Reggio Emilia in questo senso non fu certo scelta a caso. Nella Dichiarazione programmatica varata nel 1956 dall’8° congresso, si dice: “La costruzione di una società socialista deve prevedere, data la struttura economica italiana, tanto la protezione e lo sviluppo dell’artigianato, quanto la collaborazione con una piccola e media produzione che, non avendo carattere monopolistico, può trovare in un regime socialista condizioni di prosperità per lunghi periodi, prima del passaggio a forme di produzione superiori, sempre sulla base del vantaggio economico e del libero consenso” (Sorini 2003).
Il sindacato cinese ha prestato denaro oppure lo ha dato a fondo perduto perché gli operai eccedentari rimasti senza lavoro nella ristrutturazione delle grandi aziende statali si mettessero in proprio. Spesso la sollecitazione è avvenuta direttamente dal PC:
Un operaio, padre di una mia studentessa, è stato invitato dal Partito a 'tuffarsi in mare' (in cinese xiahai), e quindi, lasciare il suo posto fisso e a partecipare alla economia di mercato fondando una piccola impresa e con buoni risultati, e si è moderatamente arricchito. Quindi, una parte dei piccoli imprenditori sono ex operai industriali riconvertiti e, quindi, presumiamo che conservino una parte della loro cultura proletaria e le loro simpatie ideologiche per il comunismo (Egido 2004b).
Ci si potrebbe chiedere se in Cina esiste una classe capitalistica nel senso usuale che diamo a questo termine. La risposta che dà l’eccellente studio di Keelle S. TsaiWI7T7IIè no. Nel 1991 Ronald Glassman aveva previsto che la nuova classe media cinese avrebbe dovuto diventare una ardente fautrice della moderna democrazia. Gordon White nel 1994 sostenne che vi fosse una nuova forma di società civile che stava formando le basi della democratizzazione politica della Cina e Henry Rowen (1996) prediceva che con una crescita del 5% quando fosse stato raggiunto, nel 2015, il livello critico del reddito di 7-8.000 dollari procapite la Cina sarebbe divenuta democratica. Questi argomenti diremmo “materialistici” sono popolari in Occidente tra coloro che vedono la democratizzazione come prodotto dello sviluppo economico e l’integrazione nella economia mondiale (Sautman, 1992). Molti pensatori marxisti invece (Abercrombie & Urry, Mills, Poulantzas e Wright) concordano che per la sua posizione strutturale la classe media è politicamente variabile, inconsistente e in ultima istanza indeterminata. Tsai dunque baipassa la definizione ontologicamente ambigua di classe media e si concentra sugli imprenditori. Dal 2003 ci sono quasi 27 milioni di imprenditori che impiegano 200 milioni di persone per circa un terzo del PIL. Molti sostengono che questi siano una forza favorevole alla democratizzazione. Ma dovrebbero essere una classe tendenzialmente omogenea e politicamente assertiva. In realtà mancano di comuni basi di identità ed interazione e inoltre essi hanno, al contrario, differenti identità politiche e sociali. Alcuni sono ex contadini che hanno sfruttato l’iniziale periodo della riforma altri sono ex impiegai statali che si sono riciclati con l’autoimpiego come strategia di sopravvivenza (Tsai 2005).

Al fondo di tutte le teorizzazioni sul rapporto tra impresa privata e democrazia c’è l’implicazione che la classe imprenditoriale cerchi l’accesso al potere politico per proteggere i propri diritti e interessi nello spirito “niente tasse senza rappresentatività”. La definizione weberiana di classe implica che i suoi membri abbiano basi di azione comune. E' l’azione coerente dei capitalisti che porta alla democrazia. Le rivoluzioni borghesi in Inghilterra, Francia furono attuate, semplificando, dalla borghesia, ossia i mercanti privati, con una azione collettiva per i loro interessi. Ma ciò non si vede in Cina. L’analisi dell’autore dimostra che in Cina gli imprenditori hanno interessi diversi, reti di relazioni diverse e non hanno le stesse rimostranze nei confronti dello stato. L’analisi dimostra che gli imprenditori rappresentano in termini marxisti una classe in se ma non una classe per se (Hutton 2007, 93).

Il Partito comunista cinese rappresenta completamente la richiesta 
dello sviluppo delle tecnologie avanzate e delle forze produttive 
in Cina, 2001.
Alcuni operano attraverso il settore collettivo che offre parecchi vantaggi incluso un favorevole trattamento delle tasse e un preferenziale accesso al credito bancario. I privati che operano nel settore collettivo vanno da un terzo al 90% in alcune località. Ai capitalisti è permesso iscriversi al partito dal luglio 2001. Anche Marx nel “Il capitale” separa l’azienda famigliare fino a otto dipendenti a quelle che sfruttano lavoro con più di otto dipendenti[1]. Ma la questione è sostanzialmente analoga a quella del Partito Comunista emiliano quando parecchi imprenditori ex operai si iscrivevano al partito. Ad esempio a Reggio Emilia all’inizio degli anni ’50 i lavoratori occuparono le Officine Reggiane che erano state negli anni ’40 la terza azienda Italia con 21.000 addetti. La lotta si concluse con il licenziamento di quasi tutti i lavoratori che fecero però la fortuna della provincia perché si formò una miriade di aziende artigianali. Molti di questi lavoratori erano iscritti alla CGIL, spesso ex partigiani e anche iscritti al PCI. Costoro mantennero le loro idee politiche anche nella nuova funzione di imprenditori. Giustamente il PCI li inserì gramscianamente nel blocco storico che avrebbe dovuto creare le condizioni per la strategia socialista in Italia. Lo stesso è avvenuto con la ristrutturazione delle aziende statali in Cina, dove lavoratori licenziati iscritti al Partito si sono inventati una loro attività spesso con prestiti a fondo perduto da parte del sindacato. Sarebbe stato un atto di settarismo inammissibile escluderli dal Partito soprattutto nell’ambito del blocco storico che porta al sostegno del progetto del socialismo di mercato.

Il rapporto degli imprenditori con lo stato non è di opposizione come molti vorrebbero vedere. Il 7% degli imprenditori era membro del Partito nel 1991, e nel 2003 lo era il 34%. Però attenzione solo il 7% degli imprenditori sono ex funzionari di governo e solo il 10% proviene dal personale specializzato dello stato. Questo sfata il mito che i “capitalisti” siano, analogamente alla ex-URSS, i vecchi funzionari privilegiati della vecchia amministrazione statale. La formazione della classe imprenditoriale è piuttosto fluida. Molti imprenditori si pongono come esempio positivo per gli altri e sostengono attività di benessere collettivo per l’intera comunità. Per gli imprenditori eletti al congresso nazionale del Popolo è più popolare usare i media per l’autopromozione piuttosto che iscriversi al Partito sebbene metà di coloro che hanno risposto al questionario siano anche membri del partito. La conclusione è che gli imprenditori non rappresentino una classe coerente e omogenea. In molte aree si sono stabilite società non profit per assistere i poveri e promuovere i valori della civilizzazione materiale e morale. La Friendship Association of Capable Women in Hui’an County, Fujian ad esempio promuove l’imprenditoria femminile e associa elementi caritativi a quelli strumentali ed bene connessa con le autorità e con le banche locali (Tsai 2005).

Perché si possa parlare della formazione di una classe occorrono due elementi fondamentali: la formazione di una classe ma anche l’azione collettiva della classe. L’imprenditoria privata è molto diversificata in quanto ai suoi membri, variando la situazione lavorativa, le reti sociali e i rapporti con il potere locale. Il venditore ambulante analfabeta, il metalmeccanico divenuto taxista, e i software designer sono tutti imprenditori ma hanno diversi valori, risorse, e diversi comportamenti. I capitalisti cinesi non si impegnano politicamente e non domandano la democrazia di tipo occidentale.
Il Partito comunista cinese rappresenta
pienamente le esigenze dello sviluppo
delle forze produttive avanzate
della Cina, 2002

In realtà lo stato può dare spazio ad attori locali se si dimostra che le alternative sono possibili e non illegali, senza bisogna particolare di attività di lobbyng. L’elemento teleologico proprio dell’ideologia liberale ossia del processo inesorabile verso la formazione di una classe capitalistica e la “democratizzazione occidentale” è semplicemente inesistente. La formazione della classe capitalistica è semplicemente assente perché manca una base identitaria comune e dunque non si impegneranno in un’azione collettiva per richiedere la democrazia.  Alcuni imprenditori si impegnano nelle elezioni competitive nei villaggi e spesso vengono anche letti. La conclusione di Tsai è: “The capitalist class shoe simply does not fit” (Tsai 2005). I capitalisti hanno potere economico diversificato ma non significa che abbiano quello politico. Losurdo giustamente critica David Harvey per questo equivoco: "Secondo me, in autori come Harvey c’è una doppia incomprensione: non solo della realtà cinese, ma anche del testo di Marx. La distinzione tra potere economico e potere politico compare già in Marx e permette di scoprire la ricchezza assoluta della sua analisi" (Losurdo 2013)

I piccoli imprenditori, che sono la stragrande maggioranza in Cina in generale lavorano sodo, e spesso sono tutt'altro che dei parassiti. Ci vuole energia, l'iniziativa e l'intelligenza di eseguire una piccola impresa. Le piccole imprese danno lavoro a un gran numero di persone. Spesso gli imprenditori lavorano tanto se non più dei dipendenti i quali, che però troppo spesso vengono pagati male quando o addirittura non pagati completamente (fenomeno che però si sta riducendo) Questo problema sarebbe notevolmente ridotto in una situazione di scarsità di manodopera in cui queste aziende debbano competere con aziende con una gestione più democratica come cooperative e aziende statali (Private 2006). Per altro i piccoli imprenditori sono i primi ad essere colpiti dalla crisi economica.

Lo stesso Mao, come già ricordato, ha sempre ribadito il legame con la borghesia nazionale. Negli articoli 10 e 91 della Costituzione Cinese si dice che le contraddizioni tra la classe operaia e la borghesia nazionale fanno parte della categoria delle contraddizioni in seno al popolo. Lo stato si avvale delle qualità positive dell'industria e dell'economia privata che servono al benessere nazionale e alle condizioni di vita del popolo.
Egli propose l'alleanza «tra le quattro classi», attraverso un governo di coalizione che assolvesse i compiti democratico-borghesi della rivoluzione cinese. Era la «nuova democrazia». Rappresentanti della borghesia e della piccola borghesia agiata ebbero posti di responsabilità nel nuovo regime, mentre il Partito lanciava una vasta riforma agraria che avrebbe portato «graduale» superamento dei rapporti di proprietà feudali. La proprietà privata capitalistica, almeno in un primo tempo, anzi, venne garantita dalla legge. Mentre nell'Assemblea nazionale, vennero inseriti membri dei partiti patriottici tra cui il Kuomintang. Secondo Mao "questa repubblica non sopprime le altre forme di proprietà privata e capitalistica né impedisce lo sviluppo della produzione capitalistica". Il limite posto alla proprietà capitalistica avrebbe riguarda il "controllo statale delle imprese di interes­se pubblico". In agricoltura "sarà ammesso lo sfruttamento della terra da parte dei contadini ricchi", in quan­to "non si tratta in questa fase di instaurare un'agricoltura socialista". Nelle direttive del Pcc redatte da Mao nel 1948 e pubblicate in seguito con il significativo titolo "Sulla que­stione della borghesia nazionale e dei notabili illuminati" si dice: "Nella borghesia nazionale, un piccolo numero di elementi di destra legati all'imperialismo, al feudalesimo e al capitalismo burocratico e contrari alla rivoluzione democratica popolare, sono anche nemici della rivoluzione; mentre gli elementi di sinistra, legati al popolo lavoratore e contrari ai reazionari, nonché il piccolo numero di notabili illuminati che si sono staccati dalla classe feudale, sono anch'essi dei rivoluzionari... I notabili illuminati rappresentano quel piccolo numero di persone che hanno una tendenza democratica nelle classi dei pro­prietari terrieri e dei contadini ricchi".  Nel 1957 Mao scrive "Sulla giusta soluzione delle contraddizioni nel popolo", in cui afferma che la contraddizione tra il proletariato e la borghesia non è antagonistica in Cina. Per dieci anni con una legge approvata dal Congresso nazionale del popolo e ribadita ancora nel 1962, lo Stato versa ogni anno il 5 per cento ai capitalisti perciò un capitalista come il Signor Schao fino a tutto il 1962 aveva diritto ogni anno al 5 per cento di 700 mila yuan, vale a dire a 35 mila yuan. "Di questa somma - egli afferma - noi spendiamo annualmente circa 20 mila yuan; noi, vale a dire la nostra famiglia; [...] con i rimanenti 15 mila yuan compriamo azioni statali, che fruttano un interesse del 4 per cento". Se la famiglia segue questo sistema per sette anni possiederà circa 100 mila yuan di azioni statali e ne ricaverà ogni anno 4 mila yuan di interessi" (Mehnert 1964).

Il profitto come ricorda Lenin è indispensabile anche sotto le condizioni del socialismo e gli stessi imprenditori svolgono un lavoro complesso che richiede intelligenza e capacità. In un sistema socialista si può intervenire attraverso misure macroeconomiche (ad esempio la tassazione) per rendere più egualitaria la distribuzione della ricchezza. Oppure come ricorda Adam Smith stimolare la concorrenza, evitando posizioni di monopolio da parte dei privati, affinché il profitto si riduca la minimo e il vantaggio per i lavoratori-consumatori si massimizzi. In un sistema socialista di mercato ideale si lascerebbe all’imprenditore solo il frutto del proprio lavoro più o meno complesso sottraendogli il surplus che in questo modo ritornerebbe alla società e dunque non implicherebbe lo sfruttamento. Di fatto per tanti piccoli imprenditori che lavorano quanto i loro operai questa è più o meno la norma. In ogni caso il superamento delle diseguaglianze per decreto è tipico di quella mentalità burocratica che Lenin rimproverava, nel suo cosiddetto testamento proprio a Trotsky quando sottolineava che è portato a vedere solo il lato puramente amministrativo dei problemi. Secolari diversificazioni sociali non si superano dalla sera alla mattina. Questo è ovvio. Inoltre secondo Marx le disegualianze permangono nelle condizioni del socialismo.

Secondo David Schweickart sia nella forma del baratto M-M sia nella forma mediata dal denaro ossia M-D-M non c'è sfruttamento. Questo entra in gioco quando passiamo alla mercificazione del lavoro. Inoltre c'è un altro mercato che è quello dell'appropriazione del plusvalore. “Si tratta di un triplo mercato: un mercato di beni e servizi, un mercato del lavoro e un mercato dei capitali. La critica di Marx non è in realtà una critica del mercato di per sé, ma al mercato del lavoro e dei capitali. Improvvisamente uno spazio teorico si apre, nel cuore della critica di Marx del capitalismo, per il socialismo di mercato (Schweickart 2006)”. E' poi ovvio che Marx critica solo l'appropriazione privata del plusvalore. Non il plusvalore in se. Nel socialismo non c’è posto per l'eguaglianza in quanto vige il principio di ciascuno secondo le proprie possibilità, a ciascuno secondo il proprio lavoro. Oggi non siamo più ai tempi di Marx in cui il lavoro era sostanzialmente misurato dalla durata. Nella moderna divisione del lavoro è sempre maggiore la parte di lavoro complesso che entra in gioco, il quale è difficilmente valutabile. Lo sviluppo delle forze produttive sotto il capitalismo e la terziarizzazione hanno portato ad un aumento del lavoro complesso. Il lavoro non dipende dunque più solo dalla quantità e dal tempo lavorati ma anche dalla qualità ed efficienza.

La stessa teoria del “socialismo di mercato” ha qualche parentela con le teorie elaborate dal PCI sulle “Riforme di struttura” in cui si pensava che lo stato dovesse utilizzate le forti aziende statali italiane degli anni ’60-70 per entrare in concorrenza con le aziende private. I comunisti cinesi non si pongono come partito guida a livello internazionale e sostengono giustamente che ognuno deve trovare la propria via al socialismo, i cinesi anzi affermano che bisogna mettere una pietra dopo l’altra per attraversare il guado, però una strategia di passaggio al socialismo per via democratica non può fare a meno dell’esperienza cinese che come abbiamo visto è radicata persino nella nostra storia[2]. Un blocco sociale progressista che avvii un paese occidentale maturo sulla strada del socialismo si troverà con una economia di mercato sviluppata, nondimeno con un settore statale più o meno vasto. La leva fiscale e il controllo macroeconomico possono essere usati tanto più che in Italia siamo in presenza di un forte settore cooperativo che dovrebbe avere maggiore considerazione da parte dei comunisti. Ad esempio la vendita del settore statale in Italia in nome del piccolo è bello ha fatto sì che poi sono venute a mancare quelle aziende, che una volta ristrutturate, avrebbero potuto agevolmente competere a livello internazionale. Insomma a destreggiarsi con il mercato i cinesi sono maestri e la loro esperienza nella “governance” sarà senza dubbio utile.

Nel 2006 sono state cambiate le regole che permettono agli imprenditori privati di partecipare ai concorsi come lavoratori modello. 30 imprenditori privati sono stati nominati tra circa 3000 selezionati dal Consiglio di Stato ciò in base alle tre rappresentanze. Il premio è in vigore fin dal 1950. Ad esempio Liu Yonghao, presidente della New Hope dello Sichuan l’uomo più ricco della Cina secondo la rivista Forbes Fortune ha contribuito a togliere 4,59 milioni di persone dalla povertà negli ultimi dieci anni sponsorizzando 10 mila progetti nella parte occidentale e centrale tradizionalmente più povera del paese. Inoltre ad essere proposte per il premio sono gli imprenditori che pagano molte tasse e che comunque si sono distinti nel pagamento delle tasse (Private. 2006). Arrighi si rifà ad una interpretazione di Adam Smith che avvalora la tesi secondo cui il «capitalismo» non coincide con l'«economia di mercato», e dall'altra a Ferdinand Braudel, secondo cui il capitalismo nasce dalla congiunzione tra Stato e capitale, oppure nella versione marxiana tra Stato e «accumulazione senza limiti di capitale» (Mezzadra 2008). Per cui se i capitalisti sono separati dal potere politico a rigore non si può parlare di capitalismo:
… il carattere capitalistico di uno sviluppo su basi di mercato non è determinato dalla presenza di istituzioni e disposizioni capitalistiche, ma dalla relazione fra potere dello stato e capitale. Si possono aggiungere capitalisti a volontà a una economia di mercato, ma se lo stato non è subordinato al loro interesse di classe, quell'economia: di mercato mantiene il suo carattere non capitalistico. Lo stesso Braudel indica nella Cina imperiale l'esempio che "meglio si adatta a sostenere [... la sua] insistenza sulla separazione fra “capitalismo e economia di mercato". Non solo la Cina "aveva un'economia di mercato di basi solidissime [...] con le sue catene di mercati locali, la sua popolazione brulicante di piccoli artigiani e venditori itineranti, i suoi affollati centri urbani e commerciali". I mercanti e i banchieri della provincia di Shanxi e le comunità oltremare di cinesi originari del Fujian e delle altre province costiere assomigliavano molto al mondo di uomini d'affari che era l'organizzazione capitalistica tipica dell'Europa del sedicesimo secolo (Arrighi 2008).
Dunque secondo Arrighi questa è stata una delle caratteristiche basilari della Cina già dai tempi antichi:
Il Partito comunista cinese rappresenta
pienamente l'orientamento progressista
della cultura avanzata in Cina, 2001
Ciò non significa che in Asia orientale il capitalismo sia scomparso. In Cina si svilupparono, come componenti integrali all'economia nazionale, grandi organizzazioni affaristiche che controllavano ampie reti di intermediari commerciali e di appaltatori. Ma 1’ingresso anche in settori redditizi come il commercio di lunga distanza di nuovi soggetti provenienti da ogni parte del paese era assai più aperto e facile in Cina che in Europa, il risultato fu che i capitalisti rimasero un gruppo sociale subordinato con una limitata capacità di sottomettere l'interesse generale al proprio interesse di classe. E in effetti le migliori opportunità per lo sviluppo capitalistico nell'Oriente asiatico si sono venticate non in prossimità dei centri dello sviluppo, ma in posizione interstiziale, lungo i confini esterni del sistema di stati. L’esempio più appariscente di questo tipo di sviluppo è costituito dalla diaspora cinese, la cui capacità di recupero e la cui permanente importanza economica hanno pochi eguali nella storia mondiale. Nonostante le restrizioni imposte dai Ming i ricorrenti disastri e la sfida dei mercanti musulmani e di altri concorrenti, essa accumulava grandi profitti e funzionava come fonte costante di reddito per i governi locali e di rimesse in valuta per le regioni costiere della Cina  (Arrighi 2008).
Un capitalista, Rong Yiren, è stato vicepresidente della Repubblica Popolare. Egli è membro di una vecchia famiglia borghese di Shanghai prima del 1949 che aveva aiutato il PCC. Il viecepresidente del comitato provinciale di Zheyiang della Conferenza Consultiva del Popolo è il milionario Xu Guanju. Il viecepresidente della camera do Commercio della città di Chongqing è l'altro milionario Yin Mingshan, mentre un imprenditore della provincia di Anhui Zhu Qinglong è deputato dell'Assemblea Nazionale del Popolo assieme al gestore della società industriale Rongtai, Li Linkai del Guangdong (Jabbour 2007b)[3]L’alleanza con i capitalisti non fu una idea sviluppata conseguentemente fino al nuovo corso in Cina, Vietnam ecc. fino a che non si capì che la contraddizione principale di fase era tra i bisogni delle masse e lo viluppo delle forze produttive e non tra le classi sociali (Díaz Vázquez 2007).

Il partito nel 2006 conta più di 71 milioni di membri, il 12 per cento sono operai, il 29 per cento funzionari governativi, personale amministrativo delle imprese ed istituzioni di proprietà statale e tecnici, un 32 per cento contadini, ed il restante 27 per cento sono soldati, studenti e pensionati (Rapporto 2007). Già a vedere queste percentuali il partito rispetto al marxismo data la sproporzione tra contadini e operai che è appunto una delle tante anomalia della eresia cinese.

Il socialismo con caratteristiche cinesi insite sul ruolo guida del marxismo che costituisce il centro dei valori delle tendenze del pensiero e della pratica socialista. Il marxismo è visto come un sistema scientifico aperto che serve non solo per interpretare il passato ma anche per studiare le condizioni nuove che si presentano nella goveranance del PCC, nella costruzione del socialismo migliorando la capacità di applicare le teorie scientifiche analizzare e risolvere problemi pratici. I marxisti cinesi ritengono che il marxismo in quanto teoria scientifica deve evolvere con la realtà concreta mantenendosi al passo con le più moderne pratiche scientifiche. Secondo i cinesi la base del loro socialismo

Nelle tesi di Zhang Dainian e Wang Dong, professori nell'Università di Pechino, vengono respinte le due false alternative: seguire la modernizzazione di tipo occidentale oppure il ripristino semplicemente della tradizione confuciana. Negli ultimi 100 anni la Cina è emersa come forte paese sovrano socialista ed è possibile modernizzare la civiltà cinese solo attraverso il socialismo con caratteristiche cinesi (Adlakha 1998). Vengono quindi confutate le teorie di Huntington sull’inevitabile  scontro di civiltà dovuto alla minaccia cinese. I cinesi optano per nuovo ordine mondiale pacifico, non egemonico, policentrico in cui vari sistemi culturali e di valori convivano armoniosamente. Se “le caratteristiche cinesi” rimangono di esclusiva proprietà dei cinesi la lezione universale che potrà fornire il modello cinese è che non tutte le strade portino a Roma oppure a Washington per realizzare la modernizzazione seguendo l’impostazione occidentale. Dando oltretutto un esempio attraverso la sua lunga marcia verso il socialismo i paesi che vogliono percorrere questa strada (Casati 2007).

Occorre dire che con l’introduzione dell’economia di mercato ha portato alla diversificazione di valori sociali anche in conflitto con l’ideologia dominante ossia il sistema di valori socialista. La potenza cukturale della Cina non è forte abbastanza per sfidare i paesi sviluppati. Anche il pensiero tradizionale della cinese con i suoi retaggi spesso obsoleti non è di facile sostituzione, inoltre c’è anche una cultura internazionalizzata e standardizzata sui valori “americani”, e la sfida delle nuove tecnologie che saltano gli steccati nazionali.


[1] “Poiché Marx aveva stabilito che la soglia oltre la quale un’impresa diventa veicolo di sfruttamento capitalista si colloca sul numero di otto persone, nei primi anni della riforma il Partito largheggiava nel permettere la nascita di imprese private ma solo al di qua di quel limite (Tsai 2005)”.
[2] Anche il nome di Rosselli viene associato al socialismo di mercato. Per Rosselli il socialismo di mercato si oppone ai mercati capitalistici e propone un sistema che combina mercato e proprietà sociale del capitale e della produzione con gli obiettivi di una maggiore efficienza economica, della libertà individuale, di una più estesa democrazia e della giustizia sociale.
[3] Mao parla in questi termini dei capitalisti cinesi nella Cina popolare: "Quanto poi alla nostra politica nelle città, a prima vista dà un po’ l’impressione di essere di destra: infatti abbiamo conservato i capitalisti e gli abbiamo concesso anche un interesse fisso per sette anni. E dopo sette anni come ci regoleremo? Quando arriverà il momento vedremo il da farsi. La cosa migliore è lasciare aperto il discorso e dargli ancora un po’ di interessi. Sborsando un po’ di denaro ci compriamo questa classe [...] Comprandoci questa classe l’abbiamo privata del suo capitale politico così che non ha nulla da dire [...] Questo capitale politico dobbiamo espropriarlo fino in fondo e continuare a farlo finché gliene sarà rimasta anche una sola briciola. Ecco perché non si può dire neanche che la nostra politica nella città è di destra" …Nell’estate del 1958, Mao ribadisce il suo punto di vista di fronte all’ambasciatore, piuttosto diffidente, dell’unione Sovietica: "In Cina ci sono ancora capitalisti, ma lo Stato è sotto la direzione del partito comunista".(Losurdo 2005, pp. 120-21).

Bibliografia

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Tsai, K. S. 2005. “Capitalists Without a Class. Political Diversity Among Private Entrepreneurs in China.” Comparative Political Studies (39) (November): 1130–1158.



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