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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

mercoledì 27 febbraio 2013

8.9: Una manodopera inesauribile?

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


La rivoluzione industriosa della Cina si è basata anche sull'impiego di manodopera qualificata al posto di costosi macchinari. Questo ha contribuito a creare centinaia di milioni di posti di lavoro nelle fabbriche:
Si tratta di un'altra riformulazione della tesi di Sugihara sulla duratura importanza della Rivoluzione industriosa dell'Estremo Oriente. L'osservazione fatta dalla Hart che nelle imprese di mu­nicipalità e villaggio la coltivazione intensiva di piccoli appezzamenti si combina con forme di lavoro industriale o comunque non agricolo e con investimenti destinati a migliorare la qualità della forza-lavoro, non fa che confermare la validità di quella tesi. Ma altrettanto fa l'osservazione, piuttosto comune, che, anche nelle aree urbane, il principale vantaggio competitivo dei produt­tori cinesi non sta nel basso livello salariale in quanto tale, ma nell'adozione di tecniche basate sull'impiego di economico lavoro qualificato invece che su quello di costosi macchinari e di dispendiosi dirigenti. Un buon esempio ci viene dalla fabbrica di automobili Wanfeng, vicino a Shanghai, nella quale "non si vede nean­che un robot". Come in molti altri impianti cinesi, sulle linee di montaggio ci sono squadre di giovanotti, appena usciti dalle scuole tecniche cinesi in rapida espansione, al lavoro con nient'altro che trapani elettrici, chiavi inglesi e mazze di gomma. I motori e le parti della carrozzeria, che in una fabbrica occidenta­le, coreana o giapponese sarebbero trasportati automaticamente da una stazione all'altra, qui vengono trasportati a mano o con carrelli a mano. È così che Wanfeng può vendere in Medio Oriente le sue jeep di lusso "Tribute", fatte a mano, a un prezzo che va da 8000 a 10.000 dollari. L'azienda non investe in macchinari da molti milioni di dollari, e usa invece lavoratori di alto livello [la cui] paga annua­le [...] è inferiore a quella mensile di un nuovo assunto di Detroit. (Arrighi 2008, pp. 402-403).
Negli USA i costi minori del personale sono dovuti ad alti investimenti di capitale che in questo modo si contrappone alla forza lavoro viva:
In generale, come messo in luce in un articolo del "The Wall Street Journal", sono fuorvianti quelle valutazioni che mostra­no che il costo del lavoro incide sul costo totale di un prodotto finito solo per il 10%, perché non tengono conto né del costo del lavoro contenuto nei materiali e nelle parti d'acquisto, né del costo del lavoro dell'apparato direttivo dell'azienda. Se si valutano adeguatamente anche questi aspetti, il costo del lavo­ro arriva al 40-60% del totale, e in Cina questi costi sono gene­ralmente più bassi. In effetti il vero vantaggio competitivo cine­se non è tanto che l'operaio di produzione costi il 5% del suo corrispettivo americano, quanto che l'ingegnere o il direttore di reparto costino il 35% o anche meno. Allo stesso modo, le statistiche che mostrano come i lavoratori americani impegnati in aziende ad alta intensità di capitale siano diverse volte più pro­duttivi dei colleghi cinesi, ignorano il fatto che questa maggio­re produttività deriva dall'impiego di macchinari complessi per l'automazione delle operazioni e della movimentazione allo scopo di sostituire altri lavoratori. In questo modo i costi dovu­ti al lavoro si riducono, ma aumentano quelli dovuti all'impiego del capitale e alla sua gestione. Le fabbriche cinesi invertono questa tendenza, cercando il risparmio sul capitale e accrescen­do il ruolo giocato dal lavoro. Per esempio, progettando le par­ti in modo che siano prodotte, maneggiate e assemblate ma­nualmente, i costi in conto capitale si riducono nel complesso di un terzo (Arrighi 2008, pp. 402-403).
L'alta qualità della forza lavoro incide nell'attrarre investimenti:
Per di più, le fabbriche cinesi impiegano, come ci si aspette­rebbe dalla tesi di Sugihara, lavoro di alto livello a buon merca­to non solo al posto di macchinario costoso, ma anche al posto di dirigenti altrettanto costosi. A conferma della scarsa opinione nutrita da Smith a proposito degli alti dirigenti delle organizza­zioni produttive burocratiche, una forza-lavoro capace di auto-dirigersi "tiene bassi anche i costi della gestione".
Nonostante l'enorme numero di lavoratori che popola le fabbriche cinesi, i quadri dirigenti sono, se valutati secondo il metro occiden­tale, estremamente esigui. A seconda del settore il rapporto può es­sere di 15 dirigenti per 5000 operai, a conferma di quanto autonomi sappiano essere quegli operai (Arrighi 2008, pp. 402-403)
I forti investimenti in lavoro vivo creano occupazione tanto che ormai la manodopera scarseggia. Eravamo nel 2006 e già qualcuno cominciava a preoccuparsi per la scarsità di forza lavoro in Cina:
Aspetta un attimo. La Cina non era na fonte inesauribile di manodopera a basso costo? Non più. Dalle fabbriche tessili e giocattoli del sud alla sede aziendale e laboratori di ricerca a Pechino e Shanghai, la sfida numero uno oggi è trovare e mantenere buoni operai. Il turnover in alcune industrie low-tech si avvicina al 50%, secondo l'Institute of Contemporary Observation, un gruppo di lavoro di ricerca di Shenzhen. Nella provincia del Guangdong 2,5 milioni di posti di lavoro che restano vacanti, mentre nelle province di Jiangsu, Zhejiang, Shandong c'è anche, la carenza di lavoratori qualificati. "Prima, la gente parlava di offerta di lavoro illimitata della Cina", ha detto Zhang Juwei, vice direttore dell'Institute of Population & Labor Economics presso l'Accademia Cinese delle Scienze Sociali di Pechino. "Dobbiamo rivedere tale affermazione: la Cina si trova ad affrontare una limitata quantità di lavoro"(Roberts 2006).


Com'è nata l'abbondanza di forza lavoro nelle città

Ma com'è nata l'abbondanza di forza lavoro nelle città della costa orientale? Con la riforma è stato permesso ai contadini di vendere parte del proprio raccolto, la produttività delle campagne è aumentata. Non occorreva più così tanta manodopera nelle campagne. Prima del 1992, quando comparve massicciamente il fenomeno dell'emigrazione esisteva una grande quantità di lavoro non-agricolo, ma negli anni '80, si lasciava il lavoro agricolo, senza però lasciare il villaggio per trasferirsi in città. Nel 1984, quando i prodotti agricoli non si vendevano bene, i contadini hanno ridotto la coltivazione cereali e allo stesso tempo hanno aumentato altre colture. I contadini potevano trovare un lavoro nella compravendita e nella trasformazione di prodotti agricoli. L'adeguamento della struttura agricola, ha indotto l'aumento delle entrate e delle spese. Questo ha creato un periodo d'oro di crescita per l'impeto della domanda interna, che ha portato ad un aumento massiccio di imprese di villaggio dopo il 1984, con personale reso eccedente in agricoltura dall'aumento della produttività, causato dall'aumento della domanda generale di prodotti tecnologicamente di basso livello.

Questo trasferimento ad attività non agricole è stato di basso costo. Le imprese erano aiutate dal governo e  non dovevano sostenere spese previdenziali. Questo trasferimento a costo minimo di contadini a  posti di lavoro non agricoli era un vantaggio, poteva aiutare l'industrializzazione rurale basata su TVE con un basso investimento iniziale. Il governo ha consentito alle TVE di utilizzare terreni agricoli nel villaggio a titolo gratuito, ha permesso di utilizzare i fondi di sostegno rurale prima di pagare le imposte, e ha dato sussidi per le spese pubbliche del villaggio. Le TVE si sono sviluppate rapidamente. Con la liberalizzazione dei prezzi nel 1988, c'è stata una corsa generale all'acquisto delle merci che ha portato all'aumento della richiesta di prestiti bancari. In queste circostanze, il governo ha immediatamente adottato una politica di austerità. Le più colpite dalla politica di austerità sono state le medie e piccole imprese, per lo più TVE. Con poco credito e sostegno finanziario da parte delle banche, è arrivato un momento difficile negli anni '90.

Nel 1988, la Cina ha effettuato la riforma dei prezzi adeguandoli al mercato a ciò seguì un'inflazione su larga scala (18,6%) che è apparsa per altro anche nella maggior parte dei paesi ex-socialisti agli inizi degli anni '90. Ciò ha portato alla stagnazione economica per 3 anni consecutivi dopo il 1989 in particolare per i redditi dei contadini. Durante questo periodo, è stato difficile vendere  i prodotti agricoli a causa di una diminuzione del consumo da parte dei residenti urbani; questo ha portato ad una diminuzione del reddito dei contadini. Tuttavia le spese per l'istruzione, l'assistenza medica e le tasse non erano diminuite. I contadini hanno dovuto cercare nuove opportunità di lavoro dato a che  che negli anni '90 le imprese di villaggio (TVE) non erano più in grado di assorbire lavoratori. Dal 1988 al 1989, nelle città arrivò l'inflazione, che ha portato al ristagno della produzione tra il 1990-1991. Nonostante la crisi e la stagnazione, ancora 12 milioni di contadini si trasferivano alle TVE ogni anno. Prima del grande flusso dei contadini in città, nel 1992, le TVE avevano già assorbito circa 130 milioni di contadini.

Un'altra tendenza dovuta alla liberalizzazione dei prezzi nel 1988 è che il sistema  finanziario statale collegato direttamente alle finanze pubbliche è stato messo di fronte alla corsa alle banche per ritirare i depositi. Per evitare il drenaggio del risparmio, le banche hanno notevolmente aumentato gli interesse al risparmio, ma senza al contempo aumentare il tasso di prestito. Ciò ha causato un deficit  pari a circa 50 miliardi di yuan nel bilancio finanziario nel alla fine del 1988. 
Da allora, una tendenza negativa si è sviluppata nelle finanze del governo centrale: il disavanzo ha continuato a crescere, e sono continuati i crediti inesigibili; il capitale bancario ha continuato diminuire, provocando la peggioramento del bilancio finanziario e dal 1989 al 1991, ci sono stati tre anni consecutivi di "debito triangolare" (che è dovuto al dilazionamento dei pagamenti), e il debito inesigibile è cresciuto ulteriormente.
Dal momento che la finanza centrale aveva un deficit grave a lungo termine e poteva essere mantenuto solo con la vendita di titoli di stato, l'assistenza sociale sostenuta dalle finanze centrali, come l'istruzione e l'assistenza sanitaria forniti dal governo hanno avuto difficoltà ad essere erogati. Ad esempio, nella metà degli anni 1990, i sistemi educativi e sanitari sono stati convertiti in imprese in modo da ridurre il peso della sicurezza sociale sullo stato aumentandone l'efficienza. Però questo influiva nelle spese dei contadini, almeno fino a che nella metà del decennio passato essi hanno ricevuto aiuti in questo senso.(Tiejun 2006).

Nel 1992 comparvero quasi dal nulla 46 milioni di lavoratori provenienti dalle campagne che costituivano il 4% della popolazione che allora ammontava a 1,17 miliardi di individui. Nel 2004 con una popolazione di 1,3 miliardi e 800 milioni in età da lavoro, 500 milioni avevano lo status di residenti rurali di cui 200 milioni facevano un lavoro principalmente non-agricolo e 120 milioni se ne erano andati dalla campagna per insediarsi altrove assieme al coniuge o ai figli. Questi ultimi erano 180 milioni cioè il 15% della popolazione cinese. Nel 2012 su una manodopera di più di circa 900 milioni di persone in età da lavoro, 250 milioni sono migranti. L'esodo è stato facilitato dal governo che ha smantellato, nel 1992,  la distribuzione di prodotti per le necessità quotidiane attraverso le tessere annonarie [1]. I contadini cominciarono ad affluire nelle città in grandi quantità dopo il 1992. C'era stato un flusso anche prima, ma era di piccole proporzioni. Prima del 1992 senza tessere annonarie e senza un contratto ufficiale con una società statale era quasi impossibile per i contadini rimanere in città per lunghi periodi. La disponibilità di prodotti sul mercato ha reso possibile per i migranti l'acquisto di grano e di altri prodotti per destinazione urbana senza la necessità di tessere annonarie ma con i soldi che guadagnavano. Non solo ma siccome i beni erano stati messi totalmente sul mercato diventava una necessità guadagnare per poterli comprare. 

Tessere annonarie. Con il loro abbandono fu possibile per i contadini migrare in città
Con il discorso di Deng nella sua visita a sud la priorità diventa quella di creare zone di sviluppo industriale ed immobiliare. Così, l'aumento delle importazioni e la grave riduzione delle riserve valutarie nazionali ha portato l'adeguamento del tasso di cambio parallelo a quello di mercato nel 1994, che ha portato ad una svalutazione del 57% della valuta in un colpo solo favorendo le esportazioni delle aziende collocate nelle costa orientale che avevano bisogno di manodopera.
La migrazione di manodopera rurale, per un posto di lavoro nei centri industriali è un fenomeno normale, che per altro si è verificata in ogni paese nel passaggio dall'agricoltura all'industria e al conseguente inurbamento. In Cina si è reso necessario nel processo di sviluppo delle zone sulla costa orientale impegnate in opere infrastrutturali: strade, energia elettrica e acquedotti e condotte idrauliche. Con la ripresa economica dal 1992 al 1994 il numero dei lavoratori migranti al lavoro nelle aree urbane è aumentato da 46 milioni nel 1992 a circa 60 milioni nel 1994. Rispetto alla metà degli anni '80 quando l'industrializzazione nelle aree rurali ha portato più di 10 milioni di contadini, in media, ogni anno, a trasformarsi in lavoratori non agricoli all'interno delle aree rurali, il numero del lavoro rurale coinvolti nella migrazione nel 1992-1994 non erano poi a un livello così grande.

Ciò che serviva non erano tanto operai specializzati, ma una forza lavoro fisicamente forte, non specializzata, come i contadini che erano in cerca di un posto di lavoro nelle aree urbane e potevano soddisfare questa domanda, e la maggior parte di loro erano maschi. I lavoratori erano prevalentemente costituiti da uomini tra 30 e i 40 anni. Non solo i giovani, ma anche contadini non più giovanissimi lavoravano nelle città. Questi ultimi in generale avevano famiglia prima di migrare, e aspiravano a tornare alle loro case in campagna.  Tuttavia, con l'istituzione del settore industriale manifatturiero centrato lungo la costa sud-est, il secondo lotto di lavoratori migranti rurali non sempre sarebbe tornato al villaggio. Dopo questo, non c'è stato alcun cambiamento rilevante nella struttura di genere e nell'età per le popolazioni rurali che sono migrate in città, ciò che è cambiato di più è stata la loro struttura dei consumi. Le donne e i giovani sono più propensi ad accettare culture di consumo urbano. Come risultato, è avvenuto un cambiamento nella modalità di consumo e di integrazione nella cultura urbana.

Il problema dei licenziamenti e della disoccupazione è divenuto più serio alla fine degli anni '90 con la ristrutturazione delle aziende pubbliche. In Cina si è molto parlato del conflitto tra un gruppo di persone svantaggiate - la forza lavoro migrante dalle campagne e un altro gruppo di persone svantaggiate - i lavoratori urbani licenziati. Sbaglia però chi crede che tutto sia stato lasciato al liberismo in Cina. In Cina esistono settori “aiutati” che limitano la concorrenza tra lavoratori: "L'esistenza di un «settore aiutato» dallo stato limita la concorrenza dei lavoratori urbani con i migranti; la persistenza di un «settore tradizionale» nelle campagne permette di trattenere una parte della popolazione potenzialmente migrante e di liberarne un'altra che non giunga in città «senza casa né luogo». Allo stesso tempo, il lavoro detto «moderno» che si sviluppa nei nuovi settori (telecomunicazioni, finanza, pubblicità...) consente di assimilare «dall'alto» una parte dei figli e delle figlie di operai statali declassati dalla ristrutturazione dell'economia pubblica e di far fronte alle richieste di una futura (o già avviata) «risalita delle filiere» verso produzioni più sofisticate (Rocca 2007). I lavoratori delle imprese di proprietà pubblica hanno goduto del welfare dalla nascita alla morte, anche se questo viene molto mitizzato. Il loro reddito in realtà era molto basso ma la loro condizione sociale era superiore rispetto ai contadini. Essi costituivano la base sociale del Partito Comunista e come del resto anche oggi. Pertanto, hanno giocato il ruolo della classe media all'interno del sistema tradizionale. Sbaglia anche chi crede che si possa chiudere dal giorno alla notte un’aziende in cattive acque :"Bisogna tener presente che nel 1988 è stata introdotta in Cina la legisla­zione regolante il fallimento; essa però è stata raramente applicata in quanto avrebbe delle conseguenze sociali negative. Il fallimento delle imprese di stato crerebbe un aumento della disoccupazione e inoltre un calo nell’offerta di ser­vizi sociali che dipendono dalle stesse aziende di stato." (Bedon 1996). Nel 2002 in piena ristrutturazione delle SOE's (aziende statali) l’indice di disoccupazione a Pechino risultatava del 3,6 e il 90% dei disoccupati riceveva una qualche forma di indennità (Building socialism 2002).

 Scriveva un sociologo cinese:
La Cina è un immenso paese-continente, ma non dispone di risorse abbondanti. Anche se la Cina è il paese più popoloso del mondo, le risorse sono inadeguate. Inoltre, vi è il "surplus duale" del lavoro e del capitale interno che si aggiunge alla stessa duplice eccedenza nel mondo globalizzato. Negli ultimi anni, le persone hanno raramente contestato l'eccedenza di capitale. Uno dei classici segni è il rapporto M2/GDP che è arrivato sopra il 181%, mentre quello degli USA non è più dell' 87%. Dall'altro lato, il numero di forza lavoro in Cina è più di 800 milioni. E' assai difficle raggiungere la piena occupazione. La differenza tra le politiche cinesi e quelle degli paesi sviluppati è che la Cina ha bisogno di cercare di aumentare l'occupazione, al fine di evitare disordini sociali (Tiejun 2006).
Sebbene  all'epoca dell'estensione del saggio di Tiejun la situazione sembrasse ancora quella dell'abbondanza di manodopera oggi la percezione del fenomeno è radicalmente cambiata.
Workforce carenza un problema strutturale
A Jinjiang, nella provincia del Fujian, tradizionalmente una delle zone per la 
produzione di scarpe e abbigliamento si cercano lavoratori direttamente nelle strade
La fine dell'abbondanza di manodopera

Giovanni Arrighi citando la Goldman Sachs sostiene che il periodo d’oro della manodopera a basso prezzo sta passando:
Infatti le garanzie obbligatorie per la pensione e l'assistenza medica per i lavoratori assunti nelle joìnt ventures sono tuttora più genero­se e le procedure di licenziamento per i lavoratori a contratto a tempo indeterminato sono tuttora più complesse di quanto non siano in altri paesi con reddito prò capite simile o addirittu­ra più alto. Non solo, ma l'espansione dell'istruzione superiore. Il rapido moltiplicarsi dell'offerta di lavoro generata da nuove industrie, la riduzione delle tasse rurali e altre riforme simili che tendono a incentivare i contadini a restare a lavorare in campagna, sono tutti fattori che hanno cooperato nel produrre una carenza di manodopera industriale che sta ridimensionando la spinta al supersfruttamento degli emigranti. "Assistiamo al tramonto del periodo d'oro della manodopera cinese a prezzi stracciati," ha dichiarato un economista della Goldman Sachs. "C'è una gran quantità di lavoratori, ma la sorgente di personale non qualificato va esaurendosi [...]. I lavoratori cinesi [...] stanno risalendo la scala salariale più alla svelta di quanto ci si aspettasse."  
(Arrighi 2008 p.397)
La novità degli ultimi dieci anni è comunque che la gente delle campagne non emigra più come un tempo tanto che in alcune città della costa orientale c’è penuria di forza-lavoro. Infatti rileva Rampini: "L’hanno battezzata Job Fair:… è un mercato … dove i capireparto delle fabbriche vanno a reclutare lavoratori immigrati dalle campagne. Stavolta però la Job Fair era quasi deserta. Più di tremila posti di lavoro sono rimasti scoperti per mancanza di operai. Eppure le autorità provinciali del Guangdong avevano appena alzato il salario minimo di un robusto +13%. Ma ormai pochi accettano il minimo contrattuale. Lungo il delta del fiume delle Perle, tra Guanggzhou, Shenzhen e Dongguan, il boom cinese ha portato la piena occupazione (Rampini 2008).

Il problema della carenza di manodopera si origina all'incirca verso il 2003. Sino ad allora si era sempre pensato che la Cina fosse una fonte inesauribile di manodopera a basso prezzo. mentre in precedenza era problematico trovare lavoratori specializzati dopo il 2003 diventa invece un'impresa trovare anche lavoratori non specializzati soprattutto nei periodi che precedono o seguono le festività che spesso questi lavoratori allungano a piacere. Scrive Alberto Gabriele: "Tra i meccanismi pro-egualitari “spontanei” attivati dall’operare delle forze di mercato all’interno del peculiare processo di sviluppo della formazione economico-sociale cinese, il più importante è il tendenziale esaurimento del pur sterminato “esercito industriale di riserva” nelle campagne. Secondo alcuni studi, il fatidico “punto di svolta di Lewis” (il momento in cui, anche in condizioni di libero mercato e in assenza di interventi dello Stato, il flusso di contadini poveri verso l’industria urbana comincia ad affievolirsi, e quindi i salari iniziano finalmente ad aumentare parecchio, grazie al semplice interagire dell’offerta e della domanda di lavoro) sarebbe stato raggiunto intorno al 2003. E’ comunque un fatto che i salari, e specialmente i salari operai, stanno crescendo a tassi reali molto alti (spesso superiori al 10%), ormai da diversi anni" (Gabriele 2012).
Anita Chan ripercorre i giorni in cui nacque il problema: " Articoli di giornale che riportavano una carenza di manodopera nelle città e paesi cominciarono ad apparire nel 2003, e riprendono nel marzo 2004, subito dopo il Capodanno cinese. A metà del 2004, appaiono una serie di notizie di stampa secondo cui la crisi aveva già raggiunto le regioni costiere industriali, in particolare nella provincia di Guangdong, Dongguan City, che si concentrano fabbriche di Taiwan, a quanto pare la più colpita. La carenza è stato notata a febbraio dopo il Capodanno cinese, in cui sempre meno agricoltori andavano in città a cercare lavoro. Ma non è che a giugno, quando le officine sono a pieno regime e le ore di lavoro straordinario si moltiplicano, che sono comparsi i titoli dei giornali. Le foto pubblicate mostrano le officine che installano stand sui marciapiedi nel tentativo di assumere lavoratori. I migranti non affollano più i cancelli delle fabbriche per strappare posti di lavoro. Il direttore di una fabbrica di abbigliamento a Dongguan mi ha incontrato nel dicembre 2004 e ha dichiarato che l'80% e il 90% delle officine non erano in grado di reclutare manodopera a sufficienza, e aveva bisogno di rivedere la propria capacità produttiva verso il basso. Lui stesso ha cercato di reclutare almeno un centinaio di lavoratori addizionali. Egli si apprestava a contattare il proprietario della fabbrica per chiedere fondi da destinare al miglioramento delle condizioni di lavoro, in modo da poter attirare più lavoratori dopo il Capodanno cinese 2005."(Chan 2004).
He Maofang, per esempio, arrivò ​​a Dongguan dalle campagne nel 2000, ma il lavoro era difficile da trovare. Ora invece "ci sono un sacco di scelte", dice lui, che ha iniziato a Yongjin. "Oltre ad aumentare gli stipendi, Yongjin ha aggiornato i suoi dormitori e migliorato il cibo nella mensa aziendale. Nonostante questi sforzi, nelle sue cinque fabbriche manca il 10% dei 6.000 dipendenti di cui hanno bisogno. Molte aziende stanno compensando le carenze penetrando più all'interno nel cuore della grande Cina, dove i salari possono essere la metà di quelli della costa. General Motors, Honda, Motorola e Intel, per esempio, hanno spostato un po'di produzione o di ricerca all'interno, negli ultimi anni, per approfittare di una riduzione dei costi e aprire nuovi mercati"(Roberts 2006).
Eravamo ancora nel 2006 ma la scarsità di manodopera da allora non ha fatto che accentuarsi. "All’inizio di marzo del 2012 il 'Nanfang Zhoumo' riportava come il comune di Xintang a Guangzhou, un luogo che alcuni conoscono come la “capitale dei jeans” (niuzaifu zhi du), ... fosse paralizzato a causa dall’assenza di lavoratori migranti. Alla fine di febbraio, quasi un mese dopo il capodanno lunare, le oltre quattromila aziende di abbigliamento e prodotti complementari che costituivano la spina dorsale di questa comunità erano in ginocchio, piegate da una scarsità di forza lavoro che arrivava fino al 70% della domanda" (Franceschini 2012).

Franceschini cita lo studio di Zhang Yi dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali che ha elencato varie cause per questo fenomeno come l’evoluzione della struttura demografica causata dalla politica del figlio unico. Nel 2012 la popolazione in età lavorativa è diminuita di 3,45 milioni. E' intervenuto un cambiamento strutturale nell’offerta di lavoro, con il numero di lavoratori con diploma di scuola media che sta progressivamente scendendo a fronte di un mercato che continua ad aver bisogno di manodopera con un livello culturale basso. C'è stata una crescente domanda di manodopera nelle aree meno sviluppate, trainata dalla crescita economica delle aree centrali ed occidentali del Paese dovuta alla politica del governo che intende ridurre le distanze economiche fra le province.  Ciò ha portato ad un maggiore sviluppo in zone prima economicamente depresse, che ora si ritrovano con infrastrutture e fondi che attraggono i lavoratori delle zone vicine. La domanda di manodopera si è ampliata nel corso degli ultimi anni, rendendo così molto facile scegliere un impiego migliore vicino casa. Ad esempio i lavoratori che sulla costa sono considerati non specializzati nell'interno vengono considerati con esperienza e semispecializzati. Altri iniziano attività autonome ad esempio nei servizi con i risparmi accumulati.
I giovani preferiscono rimanere nelle campagne, rese ancora più appetibili dagli sgravi fiscali previsti ormai dal governo per i contadini, conservando l'hukou rurale che gli da dei vantaggi e trasformandosi in pendolari o semipendolari. Questo si somma alla progressiva riduzione del divario tra i salari nelle aree costiere e nelle zone dell’interno, a fronte di un minor costo della vita. Inoltre il migrante preferisce rimanere a contatto con la famiglia di origine e partecipare ai lavori agricoli dato che non ha completamente interrotto i rapporti con il lavoro della terra (Franceschini 2012) (Manodopera 2006).
A differenza delle vecchie generazioni – che cercavano un lavoro senza avere requisiti particolari – i nuovi giovani sono ambiziosi e studiano proprio per avere un lavoro diverso dai loro padri. Questo fattore trova conferma nell'aumento del numero degli studenti universitari:  Erano 4,3 milioni del 1999, 14 milioni nel 2005. Oggi sono oltre 20 milioni. Il prolungamento degli studi comporta che si acceda al lavoro più tardi.
Gente che cerca lavoro partecipa ad una fiera del lavoro a Jiashan County, provincia di Zhejiang, Cina orientale. Più di 230 imprese offrono circa 8.200 posti. La fiera ha attratto oltre 11.500 laureati e lavoratori migranti. E 'la più grande fiera del lavoro a livello di contea di questi ultimi anni. Il numero di laureti arriverà nel 2013 alla cifra record di 6.990.000, secondo il Ministero delle Risorse Umane e della Previdenza Sociale
C’è poi il problema dell’occupazione dei neodiplomati che si prevede saranno 7 milioni nel 2013, che non è un problema recentissimo: "L'economia cinese stenta ad assorbire queste cifre che rappresentano praticamente la metà dei 9 milioni di «arrivati» sul mercato del lavoro nel 2006 e puntano su un lavoro nel «nuovo settore». Si ritiene già che il 60% della proporzione di diplomati del 2006 non abbia trovato lavoro durante quell'anno. Occorre tuttavia rilevare un paradosso: da un lato le grandi aziende cinesi e straniere si lamentano di non disporre di una manodopera «high tech», dall'altro i giovani diplomati vivono situazioni drammatiche (Rocca 2007).
Questo paradosso sarebbe in realtà spiegabile dalla presenza anche di un altro fenomeno tipico dei paesi benestanti quello della disoccupazione per scelta e non di necessità.
In questo percorso, in una sorta di ritorno al futuro, è possibile imbattersi improvvisamente in una generazione di “disoccupati per scelta”!!! Quella dei neo laureati cinesi. Ogni anno la Cina sforna qualcosa come 4,13 milioni di laureati, cosa che, a prima vista, rappresenta una ottimo risultato, un costante incremento delle competenze a supporto della crescita economica e sociale cinese.
Oggi però Tian Chengping, Ministro del lavoro e sicurezza sociale, ha annunciato che 1,24 Milioni di questi neo laureati nel prossimo anno rimarranno senza lavoro, dato il brusco rallentamento della domanda di neo laureati, quantificato in -22%.
Superficialmente questa analisi appare credibile anche se probabilmente la vera ragione di questo fenomeno va cercata altrove: questo esercito di disoccupati ha deciso di esserlo. Questa estate, ad esempio, il governo cinese, a fronte di questa crescente emergenza giovanile, aveva lanciato una campagna per lo stanziamento di sussidi ai neo laureati disoccupati, ma nonostante la promozione fatta a tappeto in tutte le università nazionali, di fatto questa opportunità non è stata colta, tanto che a livello governativo ci si è chieste le ragioni di questo “rifiuto”, totalmente in contro tendenza se comparato alle precedenti esperienze nei paesi occidentali.I giovani neo laureati, senza troppi giri di parole, hanno risposto che preferiscono rimanere disoccupati, piuttosto che essere sostenuti da un sussidio. Questo ha sconcertato molto il governo cinese, dato che lo stato di disoccupazione può durare anche degli anni e sta coinvolgendo proprio tutti, anche i talenti che terminato il proprio percorso di studi all’estero, hanno deciso di rientrare in Cina. La ragione è semplice quanto incredibile: oggi un teenager cinese rifiuta qualunque soluzione di contingenza (salario nell’ordine dei 100 / 200 € mensili) perché convinto che, come gli insegna il suo Tao e la sua tradizione aspettando arriverà una occasione migliore (circa 500€); basta sapere attendere che le condizioni migliori maturino. Il benessere sempre più diffuso porta quindi tutta una generazione ad un sostanziale attendismo, in attesa che arrivino tempi migliori (Fattori 2006).
Stranieri alla Fiera del Lavoro a Pechino
La cosa paradossale è che nonostante che ci fossero un sacco di laureati lo sviluppo è talmente rapido che non si riesce nemmeno a trovare giovani di talento su cui puntare per la creazione di una nuova classe dirigente. O meglio non è che non si trovino ma che non se ne trova a sufficienza con una certa esperienza. Questo fattore era evidente ancora a Shanghai, dove hanno dovuto aprire delle "fiere del lavoro locale" in America per convincere espatriati e cinesi d'oltremare a tornare a lavorare in patria.

Altri studiosi fanno notare che in Cina vi è carenza di dirigenti. La continua espansione dell'economia può essere affrontata solo con 75mila dirigenti altamente qualificati. Mentre allora in Cina ve ne erano circa 5mila. questo ancora nel 2006 (Manodopera 2006).
Secondo Cai Fang quello che «si crede comunemente» è che ci siano almeno 200 milioni di uomini che attendono di trasferirsi nelle campagne mentre in realtà, non sarebbero di più più di 50 milioni. 

Una delle teorie della crisi inevitabile della Cina diceva infatti che presto (eravavamo negli anni ’90) ci sarebbero stati 250 milioni di persone che avrebbero premuto per un lavoro in Città e questo avrebbe creato un problema sociale enorme tale da far scoccare la tanto aspettata (in Occidente) scintilla per il rovesciamento della "gerontocrazia" di Pechino. Sono poche le persone che credono che il surplus di forza lavoro cinese sia in diminuzione, l’idea comune della maggior parte delle persone è che la forza lavoro sia inesauribile, ma bisogna liberarsi di questo mito:
Attualmente si crede comunemente che circa un terzo dei lavoratori delle campagne costituisca un surplus di manodopera, che corrisponde a 150/200 milioni. Ma le ricerche hanno dimostrato che questi numeri non sono affatto precisi, che il surplus di forza lavoro in campagna nella fascia d’età al di sotto dei qua­rant’anni sia solo di 52.120.000 persone, molto meno dell’un terzo di cui si parla. …la pianificazione delle nascite, … ha fatto sì che potessimo godere di vantaggi quali abbondanza di manodopera e di risparmi. Tuttavia questi vantaggi sono apparsi in fretta e sono scomparsi in fretta. Sebbene la forza lavoro cinese sia molto abbondante, tuttavia la velocità con cui cresce diminuisce ogni anno e, se ora è ancora in cre­scita, dal 2020 sarà in diminuzione (Cai Fang 2008).
Sembra che Cai Feng si sbagliasse. La diminuzione di manodopera è arrivata prima del previsto. Due economisti del FMI avevano previsto il punto di svolta tra il 2020 e il 2025: "Per il loro modello di previsione, i due analisti dell'Fmi hanno usato dati dell'Onu che prevedono l'inizio del declino della popolazione attiva cinese nel 2020. Succede però che l'Ufficio nazionale di Statistica di Pechino ha comunicato che già nel 2012 la popolazione in età lavorativa (15-59 anni) è scesa di 3,5 milioni, a 937 milioni" (Taino 2013).

Oltre alla già dette si affacciano altre problematiche. La scarsità di manodopera aumenta notevolmente la forza contrattuale dei lavoratori migranti, i quali di fronte a salari e condizioni di lavoro insoddisfacenti possono sempre scegliere, come scrive Ivan Franceschini, di “votare con i piedi” in fatti spiegava un imprenditore italiano: «Per noi che investiamo in Cina la competizione è durissima. E' successo che un'azienda tessile abbia deciso di aprire proprio davanti al nostro stabilimento, a Zhongshan. Risultato: in una mattina se ne sono andati 50 dei nostri dipendenti, attratti da condizioni migliori. Questo è il Paese. Non ci sono sindacalisti. Ma quando un operaio non è contento può cambiare lavoro in un attimo. Sembra incredibile, ma in Cina serve più manodopera. Nelle strade le aziende aprono banchetti che reclamizzano le offerte di lavoro. E assumono seduta stante chiunque sia interessato, magari perché appena licenziato o semplicemente stufo del vecchio impiego». (Carioti 2005). Inoltre, la competizione tra le aree costiere e le aree dell’interno per attrarre la forza lavoro si traduce in altre dinamiche favorevoli ai lavoratori, quali ad esempio innalzamenti generali dei salari minimi e l’adozione di nuove norme per tutelare il lavoro: oramai gli aumenti dei minimi salariali sono superiori al 20% l'anno (Franceschini 2012). La rapidissima ascesa dei salari dei cinesi che li porterà presto (come vedremo in seguito) a livelli europei è anche frutto di queste condizioni di scarsità.

Di fronte alla mancanza di lavoratori: "Le industrie cinesi sono state costrette ad aumentare le paghe minime del 30 %” che sono uguali a “3 mesi di salario per un operaio bangladeshi. La mancanza di manodopera è più acuta proprio nelle province che esportano di più: il delta del fiume delle Perle, che rifornisce Hong Kong, e quello del fiume Yangtze, bacino di utenza di Shanghai. Ad esempio, quest'anno la sola città di Shenzhen si è trovata con 300mila lavoratori in meno, mentre secondo i dati del governo le fabbriche della ricchissima provincia meridionale del Guangdong contano 500mila assenze e quelle del Fujian altre 300mila.
Un esperto di risorse umane locali spiega che "solo pochi anni fa milioni di giovani si recavano nella città per trovare un qualunque lavoro, con qualunque salario, mentre ora se cerchiamo 5 persone, forse se ne presenta una. Questo problema riguarda tutti."(Manodopera. 2006).

Secondo un'indagine relativa al quarto trimestre del 2011 su circa quattro milioni e mezzo di posti offerti quasi duecentomila rimanevano scoperti. "Al contempo, negli ultimi anni sono emersi diversi segnali che dimostrano come nel Paese si stia rafforzando la tendenza alle migrazioni intra-provinciali, con un conseguente inasprimento della competizione tra aree centrali e le aree costiere per la manodopera. Questa dinamica risulta particolarmente evidente se si considera il fatto che nei tre anni compresi tra il 2009 e il 2011 la percentuale di lavoratori migranti dello Hubei che ha trovato lavoro all’interno della provincia è stata rispettivamente del 40%, 43% e 47%."(Franceschini 2012). La manodopera rimane sempre più in loco, un processo che spesso ha coinvolto i migranti italiani nei paesi europei o gli stessi meridionali che ad un certo punto hanno cessato di migrare al nord.

Anche un'analista attenta come Chan crede del mito dei salari "bassi" che è del tutto insensato se non si dice rispetto a cosa: "I media fanno una serie di ragioni di questa mancanza di manodopera, che sono tutti validi: cattive condizioni di lavoro, salari bassi o verso il basso, il ritardo nel pagamento dei salari, abusi vari, il miglioramento delle condizioni economiche nel settore rurale, con il recente aumento dei prezzi dei prodotti agricoli e meno tasse, ecc. Ma la stampa riconosce che è soprattutto è la degradazione inquietante dei salari e delle condizioni di lavoro che scoraggiano i migranti di venire in città, in particolare nella provincia di Guangdong" (Chan 2004). Si deve dire che la mancanza di personale dovuta ai salari bassi è assai dubbia. Intanto la carenza è continuata anche quando i salari sono aumentati, e spesso aumentati di parecchio. Forse è valida per diplomati ma per i lavoratori a bassa specializzazione non è poi molto credibile. In realtà ha poco senso dire che nel Guangdong ricevono stipendi bassi e poi vanno a lavorare nelle regioni dell’Ovest dove i salari sono più bassi, anche la metà. In realtà i migranti preferibilmente non escono dalla propria provincia.

Durante la Rivoluzione Culturale, circa 17 milioni di giovani dopo il diploma di scuola sono stati spediti ai comuni rurali anche per l'impossibilità da parte dello stato di fornire un'occupazione delle aziende di stato. Negli ultimi anni dell'era di Mao, i comuni rurali era diventate un serbatoio enorme di disoccupazione nascosta e di sottoccupazione (Market 2006). Ancora in oggi in realtà con adeguato sviluppo della produttività nell'agricoltura ad esempio con le nuove cooperative e la meccanizzazione dell'agricoltura sarebbe possibile liberare nuova forza lavoro dalle campagne e l'aumento degli stipendi potrebbe attrarli verso lavori non agricoli. In precedenza il governo aveva evitato di favorire la nascita di grandi aziende cooperative per timore di creare un esercito di disoccupati. Ora "si stima che nelle aree rurali vi sia un surplus di forza lavoro di 52.120.000 persone di età superiore ai 40 anni" dato che nei "paesi sviluppati, la manodopera in campo agricolo è meno del 5% della forza lavoro totale, in alcuni paesi, come l’Inghilterra, è solo del 2%, e in altri, come il Giappone, è del 6%, mentre in Cina è ancora del 20/30%. Di conseguenza, in seguito all’aumento della produttività, si può ancora convertire in grande misura la manodopera verso altri settori" (Cai Fang 2008). In precedenza si sovrastimava la popolazione dedita esclusivamente all'agricoltura.
La mancanza di manodopera è comunque ormai un elemento strutturale e permanente. Alcuni dati: popolazione tra i 10 e 19 anni nei venti anni passati è passatata da 19,9% al 13,5%;  l'aumento della popolazione tra i 50 e i 59 anni è passata dal 7,8% al 14%; 25 milioni sono coloro che si sono aggiunti alla forza lavoro nel 2011 (Hu Yuanyuan 2012). "Così tra la fine del 2010 e il secondo trimestre del 2013, nonostante il rallentamento nei tassi di crescita del Pil, il rapporto tra offerta e domanda di lavoro si è sempre collocato ad un valore superiore all’unità, il che significa che le imprese e le altre organizzazioni sono pronte ad assorbire, in termini generali, le richieste di lavoro poste dal sistema. Nel paese mancano in particolare i lavoratori poco qualificati e i tecnici e i quadri specializzati, specialmente in alcuni settori"(Comito 2013).

La mancanza di manodopera è anche una delle conseguenze portate della politica del figlio unico, introdotta ormai da molto tempo dal legislatore e arrivata a maturità, tanto da essere recentemente maggiormente liberalizzata. Essa comporta, tra l’altro, il fatto che a partire dal 2012 la popolazione in età lavorativa ha cominciato a diminuire in valori assoluti.

Questa carenza ha portato con se numerosi fatti positivi contribuendo "a spingere verso un aumento dei salari - fenomeno ormai generalizzato nel paese -, per attirare una manodopera sempre più scarsa; inoltre esso ha come ulteriore conseguenza un allungamento nel numero degli anni di lavoro delle persone, una spinta rilevante ad un aumento della produttività, anche attraverso i processi di automazione, la collocazione crescente degli insediamenti produttivi nelle regioni interne, dove la forza lavoro è più abbondante e più a buon mercato, una qualche delocalizzazione degli investimenti verso altri paesi" (Comito 2013). Dunque sviluppo delle zone interne tradizionalmente più sottosviluppate e persone che lavorano più a lungo invece di essere messe precocemente in pensione con redditi necessariamente modesti. Nel sistema cinese più contributi versati comportano ovviamente maggiori redditi pensionistici. 

Cai Fang conclude:
Quindi, poiché ora la quantità sta diminuendo e il costo della forza lavoro tende a aumentare, bisogna fare passi avanti per quanto riguarda la qualità della forza lavoro. In un certo senso, ciò su cui riflettono complessi­vamente gli investitori provenienti dall’estero è il rapporto prezzo-qualità. Quindi, non dobbiamo concentrarci solo su che cosa verranno a fare gli altri, ma dobbiamo anche riflettere su cosa possiamo fare noi. L’industria dei paesi sviluppati è in continuo sviluppo e rinnovamento, se la differenza tra gli standard di produzione è troppa, allora si possono produrre solo cose di qualità molto scarsa, e si perde l’opportunità di modernizzare l’industria. Dobbiamo elevare la qualità dei lavoratori attraverso l’istruzione e la formazione e sostituire la qualità alla quan­tità. Questo deve essere il momento per riequilibrare la strategia competitiva cinese. Dopo tutto, la quantità può essere abbondante o insufficiente, ma la qualità, una volta aumentata, non può diminuire e, se incrementata continuamente, porta profitti duraturi. (Cai Fang 2008)
Note
[1] Tra gli anni 1954 e 1992, la Cina ha avuto carenza di una vasta gamma di beni di prima necessità. Con una mossa audace lo scopo di evitare che un piccolo gruppo di individui ricchi o ben collegati da controllando ciò che poche risorse erano disponibili per 1,3 miliardi persone che vivono in Cina, le razioni sono stati distribuiti. Con tessere annonarie, solo il titolare di una cedola potrebbe ottenere il prodotto razionato, e solo nelle quantità scritte sulla cedola. Le tessere annonarie assicurato che tutti avrebbero accesso agli elementi razionati, compresi i poveri impedendo che solo pochi ricchi vi avessero accesso.
 Bibliografia

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Bedon, Rita 1996. Il nono piano quinquennale cinese. La contraddizione. n. 54-maggio-giugno 1996.
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Cai Fang 2008. Intervista: La manodopera cinese non è inesauribile, Polonews, Rif.: 2008052o Traduzione di Anna Zanoli. 
Carioti, Fausto 2005. Bertinotti, lo sfruttamento dei lavoratori e le vergogne cinesi. 21 dicembre 2005.
Comito, Vincenzo 2013. Cina, come cambia il mercato del lavoro, Sbilanciamoci, 05/11/2013.
Chan, Anita 2004. "La condition ouvrière en Chine : les signes d’une évolution ", Perspectives chinoises, n° 86, 2004,
Fattori, Alberto 2006. Cina: L'esercito dei disoccupati per scelta, Affari Italiani, 17 Novembre 2006.
Franceschini, Ivan 2012. Lavoratori migranti cercansi, 05-11-2012 
Gabriele, Alberto 2012. Cina: socialismo di mercato e distribuzione del reddito, Marx21.it, 22 Giugno 2012.
Hu Yuanyuan 2012. Workforce shortage a structural problem. China Daily.16.04.2012
Manodopera 2006. A rischio il boom economico cinese: mancano manodopera e dirigenza, 07/11/2006 
Pascucci, Angela 2008. Talkin' China. manifestolibri, Roma, 2008
Roberts, Dexter 2006. How Rising Wages Are Changing The Game In China, Business Week 27 marzo 2006 
Rocca, Jean-Louis 2007. Gran ritorno in Cina della questione sociale. Creazione di posti di lavoro, sanità pubblica, politica migratoria, Le Monde Diplomatique. Maggio 2007
Taino, Danilo 2013. La «fabbrica Cina» si sindacalizza e gli investimenti tornano a Ovest. Corriere della Sera, 5 febbraio 2013 
Tiejun, Wen 2006. The migrant labor and China’s new industrial time 2006. 
Zeng, Candy 2006. China's unions emboldened by Wal-Mart success. Asia Times Online. 24 agosto 2006.







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