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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

mercoledì 31 luglio 2013

8.17: Sindacati liberi?

8. La schiavitù in fabbrica…ma dove?


Nota: L'iconografia di questa pagina è tratta in gran parte dalla guerra civile spagnola. La lotta che il Fronte Popolare antifascista chiedeva ai lavoratori e ai sindacati era quella di aiutare la produzione per sconfiggere i fascisti. Anche questa è lotta classe in realtà molto più avanzata della mera lotta economicista a cui gli "operaisti" senza operai vorrebbero ridurla. La lotta della Cina per riemergere dal secolo dell'umiliazione è attualmente il fronte più avanzato della lotta di classe a livello mondiale.


Scrive Domenico Losurdo a proposito del sindacato cinese che supera la logica grettamente corporativa:
Nel grande paese asiatico ogni anno tra i 10 e i 15 milioni di abitanti abbandonano la campagna (sovraffollata e ancora appesantita dall’arretratezza) per stabilirsi nelle città (comprese le nuove città che crescono dal nulla): in queste condizioni, anche la CGIL del grande Di Vittorio avrebbe messo l’accento sul posto di lavoro e dunque sull’espansione dell’economia. E comunque – si lamenta «Wall Street Journal–Europe» del 6 giugno 2007 – «da diversi anni i salari cinesi crescono ininterrottamente al ritmo annuale del 10% per cento». Il tasso di crescita tende a conoscere un’ulteriore accelerazione: a causa anche del netto miglioramento delle condizioni di vita nelle campagne, ora gli emigrati «si attendono salari più alti del 16% rispetto all’anno precedente» ed esigono e riescono a strappare anche benefici e miglioramenti ulteriori. Ancora più impressionanti sono i dati riportati dal settimanale tedesco «Die Zeit» del 18 ottobre, in un articolo di Georg Blume: «Attualmente, i salari più bassi crescono del 30% all’anno, mentre il reddito medio cresce del 14%, e dunque ben più rapidamente di un’economia che pure si sviluppa in modo dinamico». E’ vero, il costo del lavoro aumenta più lentamente, ma solo a causa del rapido sviluppo della produttività. A ben guardare, pur con tutti i suoi limiti e ritardi, il sindacato ufficiale cinese si rivela nettamente più maturo dei suoi critici (anche quelli di «sinistra»): chiama la classe operaia a non rinchiudersi in un gretto corporativismo, per essere invece la protagonista del processo di industrializzazione e modernizzazione del gigantesco paese asiatico nel suo complesso, la protagonista della lotta nazionale per l’acquisizione delle tecnologie più avanzate, in modo non solo da rafforzare l’indipendenza della Cina ma anche da spezzare il monopolio in questo campo finora detenuto dall’Occidente. E’ anche grazie all’incrinarsi di tale monopolio e alla possibilità di accedere ai prodotti industriali sempre più sofisticati e alla tecnologia in rapido sviluppo della Repubblica Popolare Cinese che paesi come Cuba e Venezuela sono in grado di resistere alla politica di strangolamento economico messa in atto da Washington. Lo sanno bene i circoli imperialisti maggiormente impegnati nella politica di isolamento del gigante asiatico: è attraverso questo isolamento che passano la riaffermazione della dottrina Monroe in America latina e l’imposizione dell’egemonia statunitense nel mondo. 
(Losurdo 2007).
Il discorso di Losurdo è in perfetta sintonia con quanto affermano i comunisti cinesi: ".. l'accento è posto sulla necessità di armonia tra gli interessi dei lavoratori e impiegati da un lato, e l'interesse generale. I sindacati, salvaguardando l'interesse generale, sono tenuti a rappresentare al meglio e difendere gli interessi dei lavoratori. E' inaccettabile per la Cina che i sindacati perseguono interessi egoistici a scapito degli interessi della comunità" (Zhang 2013). Secondo l'opinione generale i sindacati "liberi" ovvero occidentalizzati sarebbero quanto di meglio i lavoratori cinesi possano sperare. Un improbabile sindacalista liberale cinese si chiede "perché dopo il 1949 non c’è stato più nessuno disposto a mettersi alla testa delle proteste dei lavoratori? La risposta che il governo offre è la seguente: “la classe dei lavoratori è al potere”! [slogan maoista, ndt]" (Facchin 2010) ed egli risponde ovviamente che in ogni stato liberale che si rispetti ci sono i sindacati liberi. "Inoltre il governo, dopo le prime fasi […] in cui il sindacato veniva usato per controllare nell’ombra quelle imprese private non troppo docili, è poi riuscito finalmente a dar vita a delle imprese a capitale pubblico-privato e alla trasformazione socialista dell’industria e del commercio. In quel momento hanno inventato una parola che anche se si legge “unione dei lavoratori”, in realtà è un’organizzazione di marionette a servizio del governo. Organizzazione che è riuscita nell’intento di eliminare i precedenti sindacati indipendenti nati come associazioni spontanee di lavoratori. Alla fine hanno privato completamente i lavoratori dei loro diritti senza che questi avessero modo di difendersi". Questo nuovo Walesa, significativamente, non è per nulla un nostalgico del maoismo, e riprende la propaganda anticomunista del "comunismo come schiavitù dei lavoratori". La terminologia è tipica dell'anticomunismo più becero dei vecchi Cold Warriors "controllare nell'ombra le imprese private" "organizzazione di marionette". Un'altra battuta straordinaria del nostro Walesa dei poveri è che "Negli ultimi trent’anni di apertura e riforme si può dire che contadini e operai sono i due gruppi sociali che hanno visto maggiormente colpiti i loro interessi" (Facchin 2010). Certamente non gli interessi economici visto gli aumenti eccezionali del reddito di queste due categorie. "Difficoltà nel quotidiano, un futuro senza speranza, nessuna dignità (la dignità c'è solo nei paesi liberali dove si difendono gli interessi dei lavoratori), depressione, mancanza di fede (questi personaggi sono quasi sempre dei cristiani rinati) in qualcosa e una vita privata di ogni tempo libero: tutto questo causa inevitabilmente un aumento dei suicidi. Il caso Foxconn non è che un esempio" (Facchin 2010). Il problema è che non c'è stato nessun aumento dei suicidi che anzi tenderebbero a diminuire e il caso della Foxconn mostra come avere un'occupazione tenda a diminuire i suicidi. Certo questi dissidenti vengono cercati con il lanternino e spesso non risultano nemmeno tra i più svegli. Come mostra il grafico sotto nessuno come i cinesi ha beneficiato di formidabili aumenti salariali in questi anni di crisi. Forse che questi pseudo sindacalisti cinesi e i loro testimonial occidentali avrebbero fatto di meglio? Dubitiamo fortemente.
Il grafico mostra come sono aumentati i salari reali
nel mondo con i cinesi e senza. E' evidente che i
cinesi trainano l'aumento degli stipendi nel mondo


"Ho detto in passato che quella cinese è una società di mutuo danno ma non di mutuo aiuto: ciò è una sconfitta per tutti. E se è una sconfitta di tutta la società dentro questa sconfitta c’è anche un po’ della sconfitta di ciascuno di noi. Ora, se vogliamo supportare il diritto dei lavoratori a scioperare, ebbene anche noi abbiamo più di una maniera per farlo. Fra queste una è quella di consumatori responsabili". Come abbiamo visto le condizioni alla Foxconn suscitano l'indignazione di coloro che non vi lavorano ma non di quelli che vi lavorano. Le condizioni negli altri paesi del mondo dove vi sono aziende Foxconn sono migliori? In generale sono migliori delle condizioni del paese in questione ma non sono migliori di quelle della Cina che sono a loro volta tra le migliori tra i paesi in via di sviluppo. La questione del consumo responsabile per Foxconn in Cina non ha senso perchè le situazioni sono molto peggiori in altre aziende. Sono cose che sarebbero comprensibili nella sinistra corporativa occidentale che si oppone alla globalizzazione perché vuole mantenere il lavoro nei propri paesi temendo il vantaggio comparativo dei paesi in via di sviluppo ma che queste idee abbiano anche fatto presa in questi paesi è un suicidio per lo sviluppo dell'occupazione e della classe operaia. "Se prendiamo ad esempio gli stabilimenti della Foxconn a Shenzhen e il suo sfruttamento nei confronti dei lavoratori, la gente potrebbe dimostrare la sua protesta contro le fabbriche di “sudore e sangue” [sweatshop, ndt] come questa iniziando a non comprare prodotti di Apple, Nokia, Dell [la cui componentistica esce proprio dagli stabilimenti Foxconn, ndt]. Certo, ci sono anche metodi più vigorosi. Ad esempio la lettera aperta sull’incidente della Foxconn inviata da cittadini al governo di Taiwan nella speranza di influenzare Guo Taiming [CEO di Foxconn, ndt] o addirittura le politiche sul lavoro del continente [...] verso una risoluzione del problema dei suicidi e di questioni legate a questa recente ondata di scioperi". Il consumo etico si dimostra un'altra forma del socialimperialismo per impedire la crescita dei paesi in via di sviluppo. Innanzitutto i lavoratori, i sindacati dei paesi sviluppati sono propensi a vedere solo una parte del problema. Se gli investimenti vanno ai paesi in via di sviluppo che sfruttano il loro vantaggio competitivo, dato anche dai salari più bassi,  complessivamente non è vero che siano unicamente i paesi sviluppati a soffrire della disoccupazione. Il grafico sotto dimostra che fino alla crisi economica provocata proprio dalle economie sviluppate i tassi di disoccupazione erano pressoché equivalenti



Disoccupazione totale nel mondo e nelle economie
sviluppate  in percentuale  della forza lavoro complessiva
Il nostro dissidente scrive "In una lettera aperta pubblicata il 3 giugno (i lavoratori) hanno criticato aspramente i sindacati che li avevano ostacolati mentre stavano cercando di difendere i propri diritti e interessi. Allo stesso tempo hanno chiesto la costituzione di un sindacato indipendente dei lavoratori che li aiutasse nelle loro lotte (Facchin 2010). In realtà la maggioranza degli scioperi in Cina avviene nel sud e non nell'interno dove le condizioni i salari e le consdizioni di lavoro sono peggiori e quasi mai mettono in discussione la rappresentanza del sindacato: "Questi scioperi non sono il risultato delle condizioni di lavoro più deplorevoli nel Sud (rispetto all'interno), ma semplicemente perché ì il livello di consapevolezza è in realtà superiore. 99% di scioperi punto per rivendicazioni in materia di protezione sociale e dei salari. Una piccola parte si riferisce alle richieste sindacali, con una richiesta per la rielezione dei delegati, come nel 2010 alla Honda."
Ma siamo poi sicuri che la creazione di un sindacato indipendente e il diritto di sciopero siano il toccasana?


Il Congresso ACFTU  già nell'ottobre 1988 ha chiesto "drastici cambiamenti", tra cui una maggiore indipendenza per i sindacati anche per tenere testa alla minaccia di sindacati sul tipo Solidasrnosc. L'ACFTU riebbe poi un ruolo nei negoziati tra governo e studenti nel 1989. La cosa singolare per i nostalgici della rivoluzione culturale che uno studioso del sindacato oggi dichiari: "Durante il periodo della Rivoluzione Culturale, viene messa troppa enfasi sulla leadership e sul ruolo di ponte e cinghia di trasmissione dei sindacati, che diventano semplici marionette" (Zhang 2013). Egli continua dicendo che con il passaggio al socialismo di mercato il sindacato riconquista la sua funzione primaria: "Dopo la riforma e apertura, soprattutto dopo la transizione verso un'economia di mercato, promuovendo la ricostruzione economica, la diversità di interessi e la nuova complessità dei rapporti di lavoro, i sindacati sono di nuovo presi sul serio" (Zhang 2013). Un discorso degno di Lenin nella sua difesa del ruolo del sindacato contro Trotsky. Anche in Vietnam i sindacati hanno un discreto grado di indipendenza dal partito e al loro congresso 1988 come in Cina, sebbene il loro ruolo sia definito giuridicamente e costituzionalmente di funzionare come rappresentanti degli interessi di tutta la classe operaia, sotto la guida del Partito comunista.
"In tutti e tre i paesi (oltre Cina , Vietnam anche la Russia post-sovietica) l'approvazione delle leggi non è stata in alcun modo una formalità, e le organizzazioni sindacali sono stati molto attive nel sollecitare le loro clausole favorite e in attività di lobbing per le revisioni successive della legislazione del lavoro" (Clarke e Pringle 2009).

In Cina il legame tra partito e sindacato non porta necessariamente alla conclusione che quest'ultimo sia uno strumento dello Stato. "Il presidente dell'Acftu Ni Zhifu notava dopo gli eventi di Tienanmen, anticipando gli sviluppi a venire, che i sindacati devono evitare di agire semplicemente in qualità di agenti del governo e devono così lavorare indipendentemente aumentando l'attrazione per i lavoratori e godere di maggiore fiducia da parte dei lavoratori, non lasciando opportunità a coloro che tentano di organizzare "sindacati indipendenti' "(Clarke e Pringle 2009).

Nel 1992 all'ACFTU ha esercitando forti pressioni per misure destinate a proteggere gli interessi dei lavoratori e promosso la propria posizione nel dibattito per quanto riguarda il quadro legislativo e politico della riforma, con notevole successo. In particolare, l'ACFTU ha fortemente premuto per la regolamentazione collettiva dei rapporti di lavoro, contro la regolazione sulla base di contratti individuali che era la scelta preferita dal Ministero del lavoro, e l'approvazione dei contratti collettivi è diventata parte della nuova legge sindacale nel 1992.  "Wei Jianxing, presidente riformista del Acftu 1993-2003, era un membro di alto rango del Politburo del PCC tra il 1997 e il 2002, questo gli ha dato l'autorità di fare pressione sul Ministero del Lavoro, e l'ACFTU ha continuato a svolgere un un ruolo guida, di successo, nell'attività di lobbing per la legislazione sul lavoro" (Clarke e Pringle 2009).

"In Vietnam, il suo ruolo storico assicura che il VGCL goda di uno status politico addirittura superiore a quello dell'Acftu in Cina. Il presidente del VGCL ha rango ministeriale e deve essere un membro del Comitato per l'economia e del Comitato Centrale del Partito Comunista. Fino al 2007 il VGCL è stato direttamente coinvolto nella stesura di tutta la legislazione del lavoro, e continua ad avere il diritto legale di essere consultato" (Clarke e Pringle 2009). Ora questo sembra agli estensori del saggio e qualsiasi normale lettore la ragione del fatto che gli stipendi dei vietnamiti siano tra quelli che aumentano più velocemente dopo quelli cinesi. Ma non è l'opinione dei socialimperialisti i quali sostengono che il sindacato è ostile ai lavoratori.

"Nel corso degli ultimi cinque anni il VGCL ha assunto una posizione sempre più indipendente nel premendo per le proprie opinioni sul governo, in particolare ha criticato l'inadeguatezza dell'attuazione  della legislazione del lavoro del governo, ha aftto pressione per incrementi del salario minimo e ha insistere sulla conservazione del diritto di sciopero nella revisione 2006 del Codice del Lavoro" (Clarke e Pringle 2009). In Vietnam, le leggi definiscono i requisiti che rendono possibile, per un sindacato dichiarare legalmente uno sciopero sostengono Clarke e Pringle. Le opinioni a tal proposito sulla Cina sono abbastanza ampie. Il nostro dissidente sostiene che "Sebbene nella Costituzione attuale non vi sia nulla in difesa del diritto di sciopero, tuttavia non c’è nemmeno nulla che lo proibisca, e se qualcosa non è proibito dalla legge significa che si può fare. Tanto più che sia nel “Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali (ESCR)” cui la Cina ha aderito, che nella “Legge sul sindacato” e nella “Legge del lavoro” è stabilito il diritto di partecipazione al sindacato e anche il diritto di sciopero. A mio avviso soltanto quando nelle leggi e nella Costituzione verrà sancito con chiarezza il diritto di sciopero allora l’attuale conflitto sempre più serio e iniquo fra capitale e lavoro potrà raggiungere un miglioramento strutturale" (Facchin 2010).

Secondo Ivan Franceschini "Per quanto riguarda la legislazione sul lavoro ad oggi in vigore, l’unico accenno (vago) al diritto di sciopero si trova all’articolo 27 della Legge sui sindacati, là dove si legge che “in caso di blocchi del lavoro o scioperi del rendimento in un’impresa o in un’istituzione, il sindacato dovrà, per conto dei lavoratori e degli impiegati, tenere delle consultazioni con l’impresa o l’istituzione o le parti coinvolte, presentare le opinioni e le richieste dei lavoratori e degli impiegati, e avanzare delle proposte”. Un ulteriore segno di apertura è stata la promulgazione di una nuova Legge sulla sicurezza nella produzione nel novembre del 2003: agli articoli 46 e 47 essa riconosce ai lavoratori delle imprese statali che nel lavoro incontrano una situazione che mette direttamente in pericolo la loro sicurezza personale il diritto di rifiutarsi di eseguire gli ordini così come di smettere di lavorare e abbandonare il posto di lavoro senza per questo subire alcuna riduzione salariale, diminuzione nel welfare oppure cancellazione del contratto di lavoro" (Facchin 2010). Secondo Franceschini non ci sarebbe però una tutela legale del diritto di sciopero anche se in generale gli scioperanti non sono colpiti dalla legge.

Le organizzazioni sindacali alternative in Russia sono nate nel calore delle lotte, organizzando lavoratori che contrastavano la passività del sindacato tradizionale. All'origine vi sono piccoli gruppi di lavoratori in occupazioni relativamente privilegiate che hanno un certo potere contrattuale. Passato il momento della lotta diventa estremamente difficile sostenere un tale sindacato alternativo in opposizione alla direzione e al sindacato tradizionale. Il risultato è che i sindacati maggiormente alternativi svaniscono a favore di un piccolo nucleo di attivisti che finiscono col trovare un accordo con il management degenerando in sindacati gialli aziendali. In Russia oggi il movimento sindacale alternativo si trova ad una situazione piuttosto critica.

"Questi leader, in generale operai con esperienza, ricoprono spesso posizioni di sorveglianza, e, almeno in Cina, di solito possono contare su reti in loco per l'organizzazione di scioperi. In Vietnam ci sono alcuni casi capo informali che collaborano segretamente con i dirigenti sindacale, anche con l'organizzazione di riunioni regolari, e il leader ufficiale può sfruttare le minacce di azioni non ufficiali per negoziare con la direzione" (Clarke e Pringle 2009). E' successo solo in pochissime occasioni che leader informali si dichiarano a favore di un sindacato alternativo e quando è successo si collegavano ad organizzazioni (paradossalmente, ma poi non tanto) neoliberali. A differenza dei paesi occidentali in Cina e Vietnam mancanza importanti organizzazioni degli imprenditori che agiscano come controparte del sindacato negli accordi collettivi, ma ciò viene by-passato dal dipartimenti governativi relativo con la conclusione dell'accordo collettivo in nome dei datori di lavoro registrati con esso o con il partito locale premendo i datori di lavoro di stipulare un accordo.


Sindacati liberali

Il Labor Imperialism parte da un presupposto tutt'altro che confermato, ossia che "sindacati liberi" (leggi liberali) difendano meglio i diritti dei lavoratori. Non è assolutamente vero: lo dicono i fatti. Basta confrontare gli aumenti degli stipendi in Cina e Vietnam (ovvero i paesi senza "sindacati liberi") che hanno aumentato i livelli salariali molto più dei paesi con i "sindacati liberi". Si tenga presente che in India vi è anche una forte componente sindacale combattiva comunista.
Cina e Vietnam hanno avuto aumenti salariali
molto maggiori dei "paesi liberi".
La cosa più sorprendente è che la Cina ha il più alto rapporto tra welfare
(sanità, disoccupazione, pensioni) e stipendi dei paesi emergenti dell'Asia.
La maggior parte degli altri paesi ha "sindacati liberi".
Nel rapporto dell'ILO sull'evoluzione dei salari troviamo scritto: "Le tendenze in Asia, e in particolare in Asia orientale, contrastano nettamente con quelle di altre regioni. Riflettendo la resiliente performance economica della regione nel corso della crisi, i salari in Asia hanno continuato a crescere a tassi elevati. Ciò riflette in particolare l'influenza della Cina, dove i salari in "unità urbane" sono aumentati in media a tassi annui a due cifre su tutta la decade, secondo il China Yearbook of Statistics.
Utilizzando questi dati ufficiali che danno un tasso annuo di crescita del 12 per cento annuo, si ricava che i salari reali medi in Cina sono più che triplicati nel corso del decennio 2000-2010, suggerendo domande circa la possibile fine della "manodopera a basso costo" in Cina. Nella figura sotto, si vede che senza la Cina, dove la crescita del PIL e dei salari sono stati eccezionalmente elevati nel corso degli ultimi anni, il quadro sembra notevolmente diverso, in quando riflette anche la storia meno positiva dei salari in paesi come la Repubblica di Corea o India durante gli ultimi quattro anni" (Global Wage 2013).

Media annuale della crescita dei salari in Asia 2006-2011. Senza 
l'aumento degli stipendi cinesi nel 2008, 2009, 2011 i salari sarebbero 
diminuiti. I salari del 2011 per la Cina  sono quelli previsti che 
comunque corrispondono a ciò che è poi avvenuto

Sempre l'ILO afferma che in Cina i "guadagni in termini di produttività e salari reali entrambi sono stati positivi e abbastanza consistenti, sia, prima che durante gli anni della crisi. Eppure, in alcuni paesi, la crescita dei salari come misurata dalle statistiche ufficiali è stata chiaramente deludente nel periodo 1999-2007. Tra i paesi dell'Asia orientale, relativamente bassa crescita dei salari è stata registrata, per esempio, in Thailandia. In Asia meridionale, anche, il valore dei salari medi reali ha ristagnato nel decennio precedente la crisi. In India, le tendenze salariali sono poco chiare. La fonte autorevole di dati sulla crescita dei salari in India è l'indagine annuale delle industrie da parte del Central Statistics Office e l'indice dei salari reali pubblicata dall'Ufficio del Lavoro. Entrambe le fonti di dati indicano la diminuzione dei salari reali in questi ultimi anni, il potere d'acquisto dei salariati si riduce. Sarebbe questo a spiegare le preoccupazioni espresse da molti lavoratori in India sul rapido aumento per i prezzi, in particolare dei prezzi alimentari. La tendenza, comunque, è sorprendente alla luce della rapida crescita economica del paese negli ultimi dieci anni (Global Wage 2013).
lL'era dei salari bassi ormai è passata.
Nel 2009 il salario minimo in Cina era di circa due volte quello dell'India. Il salario medio cinese era quattro volte superiore a quella del Vietnam, tre volte superiore a quello nelle Filippine, il doppio di quello in Indonesia  una volta e mezzo in più rispetto alla Thailandia. In generale paesi con "sindacati liberi".
L'obiettivo del 2013, tra l'altro è quello di siglare contratti collettivi nell'80% delle aziende in cui il sindacato è presente. A livello mondiale solo il 15% dei lavoratori beneficiano di Contratti Collettivi (Vandepitte 2013).

Che la Cina sia il più socialista di questi paesi può sorprendere solo i Don Chisciotte della Sinistra radicale che scambiano il sindacalismo giallo per l'avanguardia del proletariato a cui la CIA ha fatto credere che i mulini a vento della Cina siano orrendi mostri. In Italia la CISL pienamente impegnata nel socialimperialismo sia in Venezuela che in Cina, rifiuta qualsiasi contatto con i sindacati cinesi, mentre la CGIL invitata in Cina nel 2010 ha inspiegabilmente rifiutato di incontrarsi con il sindacato  cinese (Franceschini 2010)[5].
Puoi contarci? ...ma anche no. Indubbiamente i sindacati 
occidentali possono "contarsi" data la scarsità di adesioni.

Variazioni del rapporto tra lavoro e Profitto nel PIL

Quando si parla degli aumenti salariali eclatanti in Cina spesso si obbietta che però il rapporto tra salari e profitti sarebbe in costante declino come avviene in tutti i paesi capitalisti almeno dagli anni 60/70. In realtà è abbastanza dubbio che cosa misuri realmente tale coefficiente. 
Infatti esso non descrive con precisione la ripartizione del reddito tra i datori di lavoro e dipendenti. La ragione è che i redditi compresi nel rapporto sono quelli che sono conformi al concetto di valore aggiunto.
I redditi da lavoro dipendente non coincidono con il reddito disponibile reale che i lavoratori ricevono, e il surplus operativo non è la stessa cosa dei profitti reali realizzati dalle imprese. Il consumo di capitale fisso, un altro componente del PIL, è valutato dalle aliquote di ammortamento economico, che può divergere dal reddito reale ottenuto dal deprezzamento dell'ammortamento. Infine, le imposte indirette al netto dei contributi inclusi nel PIL sono solo quelle considerate come imposte dirette sulla produzione. In sintesi, il PIL misura solo molto selettivamente l'insieme dei flussi di reddito - trascurando di trasferimento di reddito, i redditi da capitale e sulle plusvalenze, rendite fondiarie, rendite del sottosuolo e una frazione degli interessi netti.
Si assiste poi ad un aumento della quota degli stipendi nei livelli alti a scapito, a quanto pare, di quelli bassi. Questo avviene quasi ovunque pare di capire con l'eccezione della Cina. Sembra inoltre che a determinare la caduta della quota di lavoro sul PIL sia in maniera determinante l'evoluzione tecnologica. Forti cadute sono state osservate nell'intermediazione finanziaria, e anche nell'alta e media tecnologia industriale, mentre il calo è stato minore nei settori dei servizi, nelle costruzioni e della produzioni low-tech.
Secondo l'ILO : "I cambiamenti tecnologici sono spesso presentati come il colpevole principale, con il suggerimento che si sono trasformati in un "aumento di capitale " piuttosto che in un "aumento di lavoro", aumentando la domanda di capitale e in modo complementare la manodopera altamente qualificata e riducendo la domanda di lavoratori poco qualificati (vedi FMI; Commissione europea; OECD; IILS). L'ipotesi standard è che la diffusione delle tecnologie della comunicazione (TIC) ha permesso l'automazione della produzione, aumentando la produttività diminuendo il fabbisogno di lavoratori poco qualificati. L'ultimo studio OCSE ha stimato che il cambiamento tecnologico e l'accumulazione del capitale rappresentato, in media, l'80 per cento della variazione intra-industriale della quota del lavoro nelle economie avanzate nel periodo 1990-2007" (Global Wage 2013).
Paradossalmente anche il welfare state tende a diminuire la quota del salario sul PIL. La legislazione sul salario minimo, le indennità di disoccupazione e vari tipi di coperture assicurative, il TFR, e anche il consumo del governo che si dovrebbe intendere a favore di tutti i cittadini e quindi anche dei lavoratori contribuiscono in questo senso, ma ciò porta alla situazione paradossale che nelle economie neo-liberiste dove è minore il welfare e le spese del governo sono al minimo la quota dei salari sul PIL sia maggiore.
Dunque questa quota è in diminuzione soprattutto per via dello sviluppo tecnologico che investe più sul capitale fisso che su quello variabile ma nei paesi europei c'è da tenere indubbiamente in considerazione la diminuita capacità di contrattazione collettiva dei lavoratori. Cosa che evidentemente è da escludere in Cina con aumenti salariali a due cifre!!

Bibliografia

Clarke, Simon; Pringle, Tim 2009. Can party-led trade unions represent their members? Post-Communist Economies Vol. 21, No. 1, Marzo 2009, pp. 85–101.
Facchin, Tommaso 2010Ran Yunfei sull’ondata operaia. Cinesresie, 20 
Global Wage 2013. Global Wage Report 2012/2013 
Losurdo, Domenico 2007. Boicottare le Olimpiadi di Pechino? Asor Rosa e l’ideologia della guerra, in «L’Ernesto. Rivista comunista», settembre-ottobre 2007, pp. 59-61.
Vandepitte, Marc 2013. La situación social en China. Perspectivas y desafíos, Rebelión, 01-08-2013
Zhang Wencheng 2013. Le develloppement du syndacalisme en Chine, 6eme rencontres Internationalistes de Vénissieux 8 et 9 Novembre 2013.

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