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Non indignari, non admirari, sed intelligeri

Spinoza


Il blog si legge come un testo compiuto sulla Cina. Insomma un libro. Il libro dunque tratterà del "pericolo giallo". Un "giallo" in cui l'assassino non è il maggiordomo ma il liberale. Peggio il maggiordomo liberale. Più precisamente il maggiordomo liberale che è in voi. Uccidetelo!!!Alla fine il vero assassino (a fin di bene) sarete voi. Questo sarà l'unico giallo in cui l'assassino è il lettore. A meno che non abbiate un alibi...ça va sans dire.

mercoledì 19 novembre 2014

6.1.2: Il governo più popolare del mondo fondato su una democrazia sostanziale

6. L'imminente crollo della Cina
6.1: Il mito del China Collapse


Il popolo cinese sembra, sia tra i più soddisfatti del pianeta. Il Pew Research Center già nel 2008 rilevava come più dell’80% dei cinesi fossero soddisfatti per l’andamento dell’economia del paese e il 65% pensava che il proprio governo stesse facendo un buon lavoro. Il 96% era dell'opinione che le Olimpiadi (che sarebbero iniziate di lì a poco) sarebbero state un successo, e il 93% che i giochi avrebbero migliorato l’immagine del paese. I consensi sono arrivati nel 2009 al 95% (Fardella 2012). Un’indagine della BBC mostrava come i cinesi credessero che l’influenza globale della Cina fosse positiva (Kamm 2008).
I media occidentali hanno manipolato ed esagerato i fatti di Tiananmen nel 1989, quando tra i cinesi serpeggiava lo scontento e la protesta. Il popolo cinese ora è contento del proprio governo (anzi, molto più contenuto di quanto gli americani lo siano del loro), ma ai media sostanzialmente questo non risulta. Indubbiamente esisteranno giustificazioni ad hoc anche per questo, ma se fosse tutto vero ciò che si dice della Cina vorrebbe dire che i cinesi sono alquanto masochisti. Noi daremo un’interpretazione diversa dal paradigma totalitario vigente nell’informazione occidentale che forse spiegherà la razionalità di quel consenso.
Certamente l'impopolarità della Cina in Occidente subisce un'accelerazione dopo i fatti di Tienanamen:
Nelle giornate di Tienanmen l’Occidente ha decretato la morte del regime cinese decretandone anche la non rappresentatività. Per l’Occidente c’era nel paese un clima da guerra civile e non si può dare solamente un po’ di democrazia alla gente. La modernizzazione senza la democrazia renderà debolissima la posizione del governo. Fu secondo questa versione l’avidità dei governi e dei comitati d’affari a salvare un governo per altri versi destinato alla sconfitta. L’occidente passa dalla difesa dell’indipendenza nazionale contro la teoria brezneviana della sovranità limitata alla teoria della difesa della democrazia anche in paesi terzi (Cammelli 2008).
Ossia dopo Tienanmen, la sinistra e in particolare quella radicale, ha conteso alla destra la posizione d'avanguardia nel regime change. Cioè la sinistra ha accusato la destra di non perseguire fino in fondo, per avidità a causa dei suoi legami economici con Pechino, la sovversione colorata nei confronti del Partito Comunista Cinese.
Le previsioni sul crollo del sistema politico della Cina dopo il 1989 sono state ossessivamente ripetute ma il sistema non è crollato allora e come spiegheremo è assai improbabile che crolli adesso data l'alta popolarità del governo. Infatti a dispetto del pensiero unico occidentale, l’attuale governo cinese sembra tutt’altro che sull’orlo del crollasso. Ricordiamo che per Roland Lew “l’attuale modo di governo ha raggiunto il suo limite”… già nel 1992 (Egido 2004). Lew non è Nostradamus evidentemente e il Partito Comunista è passato dai 52 milioni di membri nel 1993 per arrivare ora a più di 80. Il rapporto del Pew Global Attitudes Project, uscito a metà del 2008 ci diceva già come l’86% dei cinesi fossero contenti del loro governo mentre all’opposto solo il 22% degli americani lo fossero (French 2008). 
Fonte: Pew Research
Il motivo principale perché le fosche previsioni sul collasso della Cina vengono prese sul serio - soprattutto in Occidente - è che i regimi che non siamo ricollegabili alle forme occidentali della democrazia  sembrano mancare di legittimità. Un regime politico moralmente giustificato agli occhi degli occidentali deve essere scelto dal popolo. Nel caso della Cina, la leadership politica appare come un'élite selezionata con criteri meritocratici, modalità ritenuta assai fragile. Dopo le rivoluzioni arabe si è sperato che avvenisse la stessa cosa in Cina. Si è tentato con una farsesca Jarmin Revolution. Ma come rileva Jean Louis Rocca il confronto è incongruo: "Da un lato non esiste un sistema dinastico, la continuità del Partito Comunista non è personale. Si tratta di un potere collegiale che assicura la rotazione ogni dieci anni... D'altra parte, la popolazione cinese, sebbene molto contestatrice, non si riconosce nella protesta dei popoli arabi". Conclude Rocca non vi è alcun desiderio di un cambiamento di regime: Nessuna vigilia di rivoluzione come auspicato dagli europei dalla destra all'estrema sinistra: "In tre decenni di crescita, il potere ha sottratto centinaia di milioni di cinesi dalla povertà e ha permesso l'emergere di una classe media di centinaia di milioni di altri. Quindi non c'è né disperazione né l'impressione di non avere un futuro. La continua crescita e l'aumento dei redditi costituisce la base della stabilità di cui il regime vuole essere il garante" (Rocca 2013)


Scrive Daniel Bell che il punto di vista occidentale assume che le persone siano insoddisfatte del regime invece "La stragrande maggioranza del popolo cinese sostiene una struttura dello Stato con il ruolo egemone del partito comunista. Dal 1990, gli studiosi in Occidente e in Cina hanno effettuato numerose indagini su larga scala sulla legittimità del potere politico cinese e ormai sono praticamente arrivati ​​a una comune conclusione: il grado di legittimità del sistema politico cinese è molto elevato. I sondaggi sono stati modificati per impedire alle persone di dire bugie ed i risultati sono sempre gli stessi " (Bell 2010).



La mappa mostra dove i cittadini sono maggiormente soddisfatti per la direzione del paese. Fonte: Pew Research
Secondo una indagine di Anthony Saich, Professore presso la Kennedy School of Government dell’Università di Harvard, i livelli di soddisfazione per il governo centrale sono altissimi toccando il 92%, nel 2010 mentre l’operato dei dirigenti nelle zone rurali del Paese è addirittura in aumento. "I dati positivi riguardanti le amministrazioni delle zone agricole, le uniche in trend di apprezzamento crescente, potrebbero essere dovuti alle recenti campagne congiunte, governo centrale-amministrazioni locali rurali, nelle quali si tendono ad enfatizzare le riforme ed i successi raggiunti nel settore agricolo, nell’assistenza sanitaria e nel welfare nelle zone meno urbanizzate del Paese" (Fardella et altri 2012). Gli autori sostengono che il grado di fiducia del "61% nei confronti delle amministrazioni locali e 95% per quella centrale – (sono) livelli sorprendenti persino per la maggior parte delle democrazie occidentali" (Fardella et altri 2012). Si tenga presente che viene costantemente detto che l'insoddisfazione popolare, è in gran parte rivolta ai livelli inferiori di governo, tra l'altro quelli eletti direttamente con elezioni competitive e quindi più "democratici", che però avrebbero un grado di consenso assai maggiore della maggioranza dei governi occidentali. Ma certamente il governo centrale (non eletto con elezioni competitive) è visto come la parte più legittima dell'apparato politico cinese.



Fonte: Pew Research


Come può essere che il governo cinese sia riuscito a raggiungere un così elevato livello di legittimità politica senza l'adozione di elezioni competitive per i leader del paese? Secondo alcuni studiosi occidentali come l'americano Daniel Bell, il governo cinese vi  è riuscito attingendo a fonti di legittimazione "non democratiche".

La prima fonte di legittimità "non democratica" può essere definita la legittimità delle prestazioni. Se le prestazioni del governo sono soddisfacenti allora il consenso della popolazione sarà grande. Dunque la priorità del governo deve essere la promozione il benessere materiale del popolo. Questa idea ha antiche radici in Cina - Confucio stesso ha detto che il governo dovrebbe rendere la gente prospera - e il Partito comunista cinese ha messo la riduzione della povertà in cima alla sua agenda politica.
Ivan Franceschini, un ricercatore dell'Università di Venezia, si domanda dopo avere elencato i problemi sociali (sempe catastrofici) della Cina: "Se le cose stanno così allora qual è il loro livello di fiducia nel governo? La risposta è che “Molti in particolare ritengono che il Partito goda di un livello di consenso elevatissimo, soprattutto in virtù della propria performance economica”. Franceschini sostiene di non saper da dove viene questa convinzione. Basterebbero i sondaggi sulla governance che fa pressoché ogni anno la Pew Research (istituto demoscopico americano) che classifica invariabilmente al primo posto al mondo nella popolarità il governo cinese. Franceschini si dimostra oltremodo ingenuo. Forse pensa che le performance economiche siano estranee alla popolarità dei governi nel resto del mondo? In realtà sono proprio i governi che hanno resistito meglio alla crisi economica che hanno i maggiori tassi di popolarità. Le "performance economiche" vengono trattate come se fossero l'arma del demonio. Come se fossero estranee al livello di disoccupazione o di arricchimento e immiserimento delle masse popolari. Allora bisogna ricordare alla sinistra "spiritualista" occidentale che Lenin insisteva spesso sull'interesse personale come fonte di consenso come giustamente ricordato in un editoriale del Quotidiano del popolo.
Grado di consenso nei confronti del presidente della Repubblica Popolare Cinese
La legittimità delle prestazioni potrebbe variare a seconda delle condizioni economiche. La brigata Fine del Mondo spesso sottolinea che il regime cinese si troverà in difficoltà una volta che l'economia perderà colpi. Ma questo previsione potrebbe non essere affatto corretta. Se i governanti cinesi verranno visti come i migliori custodi dell'economia in tempi di crisi, la loro legittimità potrà addirittura aumentare.

La seconda fonte di legittimazione "non democratica" può essere definita meritocrazia politica: l'idea che i leader politici dovrebbero avere capacità e virtù morali sopra la media. Anche questo elemento ha radici storiche profonde che risalgono alla Cina imperiale, gli studiosi-funzionari dovevano dimostrare la loro capacità superando un sistema di esami equo e aperto, Ad essi di conseguenza venivano concessi rispetto, autorità e legittimità non comuni (per gli standard occidentali).
Quindi, il governo deriva parecchia, se non la maggior parte, della sua legittimità dalla sua capacità di provvedere al benessere materiale dei cittadini cinesi. L'aspettativa di vita del popolo cinese è fortemente aumentata, e la riforma ha visto forse la più imponente riduzione della povertà nella storia, con 640 milioni di persone strappate alla miseria.

La meritocrazia per i politici non si riferisce solo all'abilità nel governare, ma anche alla moralità superiore alla media. In passato, i leader politici avevano legittimità morale in virtù della loro percezione dei valori confuciani. Oggi, però, c'è una grande vigilanza sui leader politici di cui non si tollerano i comportamenti moralmente corrotti e privi di ogni serio impegno etico. Al momento, la maggior parte della rabbia popolare è diretta soprattutto verso funzionari corrotti a livello inferiore, ma alcuni casi recenti vanno a toccare anche i livelli superiori. I leader sono anche considerati responsabili per lo stato morale di tutta la nazione. Essi sono tenuti ad evitare la deriva del crollo morale. L'educazione etica nella formazione dei funzionari e della società in generale è considerata indispensabile.

Sondaggi politici hanno dimostrato che il cinese ancora pensa che sia più importante avere politici di alta qualità che abbiano a cuore le esigenze delle persone che preoccuparsi di modalità procedurali con cui vengono scelti. Negli ultimi decenni, il Partito comunista cinese ha aumentato la sua legittimità trasformandosi in un'organizzazione politica meritocratica, con rinnovata enfasi sugli esami e l'educazione come criteri per la leadership politica.

Prendiamo il problema delle disegualianze che può essere connesso con la meritocrazia. Naturalmente i cinesi manifestano un certo buon senso come rileva un'inchiesta che "sfata non pochi luoghi comuni sulla percezione delle disuguaglianze socio-economiche da parte dei cittadini cinesi. Innanzitutto, dai dati raccolti emerge un notevole ottimismo nei confronti del futuro, tanto che oltre il 60% degli intervistati si è mostrato convinto del fatto che “l’ondata crescente dello sviluppo economico sta sollevando tutte le barche, anche se non alla stessa velocità” e si è detto sicuro che nel giro di cinque anni la propria famiglia sarebbe stata meglio; in secondo luogo, la povertà non sarebbe da attribuire ad una struttura sociale ingiusta, quanto piuttosto a mancanza di talento, basso livello di educazione e scarso impegno, mentre al contrario il successo sarebbe il frutto di impegno e duro lavoro; infine, gli intervistati mostravano una certa tolleranza per il fatto che i ricchi si servissero della propria ricchezza per fare una bella vita, ma non accettavano che i politici possano servirsi della propria autorità per migliorare il proprio benessere materiale” (Franceschini 2011). L'indagine a cui si riferisce Franceschini è quella di Martin Whyte (2010).


Bisogna dire che la società meritocratica è quella auspicata dallo stesso Marx quando sostiene che nel socialismo ad ognuno deve andare secondo le proprie capacità e il proprio lavoro. Anche il materialista Marx pensava, come Lenin,  che l'uomo fosse mosso dagli interessi materiali: “In sostanza, i dati raccolti dimostrerebbero che “i cinesi” nel 2004 non vedevano negativamente lo status quo, anzi, ritenevano di vivere in una società meritocratica in cui le persone con maggiori doti e disposte a lavorare più duramente venivano premiate. Allo stesso modo, il gap nei redditi e negli stili di vita risultava accettabile alla maggioranza – a meno che non fossero coinvolti politici – perché ritenuto fondato essenzialmente sul merito... le questioni relative all’ingiustizia distributiva e alla disuguaglianza non costituivano una fonte di instabilità politica, anzi, al contrario, potevano essere lette come un indicatore di stabilità, un’idea molto distante dalla percezione comune che vede nella polarizzazione dei redditi il punto cruciale che potrebbe portare ad un futuro cambiamento politico” (Franceschini 2011). Quando si dice: "le persone con maggiori doti e disposte a lavorare più duramente venivano premiate" occorre aggiungere che questa era anche la base dell'etica del lavoro sempre propugnata dal movimento operaio ("chi non lavoro non mangia") su cui si basava l'emulazione del lavoro teorizzata già da Lenin e che fu alla base del movimento stakanovista. Questo prima dell'epoca di Tony Negri e del "rifiuto del lavoro" e dell'antimeritocrazia sessantottina (epoca che produsse tra le tante cose buone anche un significativo numero di cazzate).

Democrazia procedurale vs. democrazia sostanziale

Gli autori del saggio How East Asians View Democracy hanno notato delle forti, e controintuitive per i bigotti della democrazia, differenze tra gli atteggiamenti cinesi e giapponesi. Mentre 94,4% dei cittadini cinesi è d'accordo con l'affermazione che "La nostra forma di governo è la cosa migliore per noi", solo il 24,3% dei giapponesi è d'accordo con la forma politica del proprio paese. Allo stesso modo, mentre il 81,7% dei cinesi sono soddisfatti di come la democrazia funzioni nel loro paese, solo il 49% dei giapponesi lo sono. I dati del sondaggio suggeriscono anche che i cinesi hanno una concezione molto più chiara della democrazia rispetto ai loro omologhi giapponesi: essi desiderano una forma di "democrazia socialista armoniosa", mentre i giapponesi non sembra sicuri di quello che sono le loro preferenze (il 35,5% dice di non  sapere ciò che la democrazia comporta).

La terza fonte di legittimità "non democratica" sarebbe il nazionalismo. Un elemento importante di legittimità è quello ideologico: il regime cinese cerca di essere visto come moralmente giustificato agli occhi delle persone in virtù di certe idee che esso esprime nel suo sistema educativo, nei discorsi politici e nelle politiche pubbliche. Il PCC è stato fondato su principi marxisti, ma, sostengono i sinologi liberali, ormai pochi crederebbero nell'ideale comunista. Secondo questo modo di vedere quindi il PCC si rivolge al nazionalismo, che sarebbe estraneo alla tradizione comunista, per garantire la "legittimazione ideologica". In realtà come abbiamo spiegato in un'altra parte del blog,  il nichilismo nazionale è ben radicato nell'estrema sinistra ma non altrettanto nella tradizione marxista leninista che anzi ha dato, dopo il 1920, una crescente importanza alla questione nazionale. Inoltre qualsiasi partito comunista di massa ha sempre chiesto l'adesione sulla linea politica piuttosto che sui principi astratti o sull'ideologia.


Il nazionalismo ha inoltre radici recenti in Cina: nella Cina imperiale, le élite politiche tendevano a vedere il loro "paese", come il centro del mondo. Ma questa visione è crollata quando la Cina divenne preda delle incursioni delle potenze coloniali occidentali alla metà del XX secolo, portando a quello che viene visto come il "secolo dell'umiliazione" per mano delle potenze straniere. Il PCC ha messo simbolicamente fine agli abusi e al bullismo delle potenze straniere, con la creazione di uno stato relativamente forte nel 1949 e ricorda costantemente la sua funzione di protettore della nazione cinese. Inoltre ciò che spesso è chiamato nazionalismo non è altro che la credenza che la Cina sia stata una grande civiltà umiliata dagli imperialisti e che il suoi destino sia quello di ritonare grande. Nessuno più di Mao ha creduto in questa missione.
Il patriottismo ha un ruolo legittimo anche in una Cina che si appresta a diventare una grande potenza. I  "nazionalisti culturali" cinesi che chiedono il rilancio dei valori tradizionali confuciani, come l'armonia sociale e la compassione potrebbero essere paragonati agli occidentali orgogliosi dei valori "occidentali" come la libertà e la democrazia, mentre i cinesi andrebbero orgogliosi per i valori "cinesi". La differenza è che i cinesi non andrebbero mai ad imporre manu militari agli altri i loro valori com'è tradizione dell'imperialismo occidentale. La Cina ha fatto sposare le proprie principesse con principi stramieri, ha costruito  e mantenuto la Grande Muraglia da dinastia di dinastia ha aperto rotte commerciali come la Via della seta, ha messo in piedi un sistema tributario come parte della sua strategia per difendersi invece di ricorrere al colonialismo, lo sfruttamento e la schiavitù. Ha assorbito molti dei propri ex invasori (ad esempio, i mongoli della dinastia Yuan e manciù della dinastia Qing) senza la pulizia etnica diinetre popolazioni indigene che hanno sperimentato in America, Australia, Canada e Nuova Zelanda. Ossia i fari della civlità occidentale. Per non parlare della dittatura totalitaria internazionale (non sostenuta da alcun consenso  delle istituzioni internazionali come l'ONU ma basata unicamente sulla forza) esercitata dagli USA con il loro eccezionalismo che li ha portati a seminare morte, distruzione e kaos in tutto il mondo. Il tutto bollato con la stravagante denominazione di "esportazione della democrazia". Ormai l'export di merci quali i "valori occidentali" è indigesta ai più.

"In breve, non dovrebbe sorprendere che il PCC sia ampiamente visto come legittimo agli occhi della gente, e salvo imprevisti non c'è motivo di aspettarsi il collasso imminente del regime "(Bell 2012). La verità ritiene un altro sinologo, David Lundquist. per quanto lentamente e in modo complicato, il Partito Comunista Cinese (PCC) "ha maturato capitale politico migliorando la vita dei suoi abitanti più di quanto non avessero fatto i regimi passati" (Lundquist 2012).
Ma Daniel Bell sottolinea pure la visione distorta che i liberali hanno in Occidente della Cina: "Purtroppo, importanti iniziative di riforma interna spesso ricevono relativamente poca attenzione da parte dei media occidentali, favorendo la percezione che la Cina sia una oligarchia radicalmente illegittima alimentato dal sangue della sua classe operaia. Questa è una immagine distorta assecondata dai democratici, un pio desiderio sulla società cinese" (Bell 2012).


Fin qui abbiamo parlato di legittimazione "non democratica" secondo gli standard occidentali. Secondo una ricerca la spiegazione che sembra essere più ragionevole è che gli asiatici potrebbero avere un'interpretazione totalmente diversa dei valori liberal-democratici rispetto a quella occidentale. Sulla base di tale ipotesi, ci sarebbero due definizioni distinte di democrazia: la democrazia procedurale e democrazia sostanziale. La prima, che corrisponde alla democrazia occidentale, determina la legittimità dei governi statali sulla base di procedure democratiche come elezioni, lobbying, ecc, mentre la seconda è convinta che la democrazia sia basata principalmente sul modo in cui le politiche dei governi riflettono interessi della gente. A quanto pare gli asiatici si riconoscono di più nella democrazia sostanziale.

Il consenso sociale

Scrive Franceschini: “Per anni ho pensato – e in parte penso ancora – che la società cinese fosse una pentola a pressione sul punto di scoppiare. Come tanti altri, in questo leggevo il sintomo di uno scontento sociale diffuso e radicato, pronto ad esplodere in qualsiasi momento con conseguenze potenzialmente distruttive per l’ordine sociale” (Franceschini 2011). Questa è la percezione dominante tra gli osservatori della Cina corroborata dal fatto che si era passati dai novemila incidenti di massa del 1993 ai circa novantamila del 2006.
Però queste decine di migliaia di conflitti tra i cittadini e lo stato, se si tralasciano i casi eclatanti come quello di Wukan, raramente raggiungono il livello della violenza aperta e ancora meno il livello della richiesta del cambio di regime, "molti di questi eventi sono semplicemente controversie di lavoro. I partecipanti hanno poca idea di una futura Cina democratica, a differenza di alcuni dei loro omologhi della classe media, che al contrario hanno pochi incentivi materiali per protestare, ma molto da perdere per il cambio di regime".
Egli continua: “Innumerevoli studi evidenziano come nella Cina degli ultimi anni si stia assistendo ad un aggravamento del divario economico tra città e campagne, così come non si contano le analisi sulle implicazioni sociali della disoccupazione e della sotto-occupazione che serpeggia in fasce sociali un tempo privilegiate come gli ex-lavoratori statali e i laureati. Esiste una sterminata letteratura accademica sui problemi di sussistenza dei gruppi sociali svantaggiati, in particolare migranti, xiagang e contadini, esattamente come sono sempre più numerosi gli studi sui limiti delle riforme in campo sanitario, pensionistico e previdenziale. Ancor più martellante, se possibile, è poi il messaggio che è arrivato dai media cinesi e occidentali, i quali in tutti questi anni non hanno mai mancato di denunciare i vari scandali che di volta in volta hanno sconvolto l’opinione pubblica cinese, dai cibi adulterati ai traffici di esseri umani, dalla corruzione dei funzionari agli abusi di potere nei confronti dei più deboli” (Franceschini 2011). 
Ebbene le ricerche sulle disugualianze, i migranti ecc. non sono univoche come ho dimostrato nei post precedenti. La scelta di privilegiarne alcune al posto di altre dipende dalle inclinazioni o piuttosto dai paradigmi della comunità dei sinologhi o genericamente di chi si interessa di Cina. Questa comunità pensa che ciò che ormai è inusuale in Occidente (la lotta di classe di cui ormai non si parla più (1)) debba essere la norma in Cina. 
Un altro testo discusso da Franceschini è quello di Teresa Wright: Accepting Authoritarianism. La cui "analisi spazia dagli imprenditori privati, che avrebbero interesse a supportare le autorità non solo per i vantaggi economici derivanti dalla cooperazione con lo Stato-Partito, ma anche per il timore per le conseguenze di un eventuale empowerment di massa in una società di contadini e lavoratori, agli universitari, che avrebbero tutto da guadagnare in termini socio-economici da una vicinanza con le autorità e allo stesso tempo sarebbero sempre più alienati dalle persone di strati sociali considerati “inferiori” in termini di “qualità”; dai lavoratori statali, vincolati economicamente allo Stato e tuttora pervasi dall’idea di essere parte di una aristocrazia operaia, ai lavoratori migranti, discriminati da tutti ma socialmente superiori ai propri compaesani rimasti in campagna e convinti che lo Stato centrale sia dalla loro parte nelle varie lotte contro i datori di lavoro; fino ai contadini, legati allo Stato centrale in quanto solo quest’ultimo si farebbe garante della proprietà della terra e si presenterebbe come loro protettore nei confronti delle autorità locali” (Franceschini 2011).
Ora pensare che uno stato liberale porti all'empowerment delle masse popolari è un'utopia degna della versione liberale della "banda dei quattro".
Abbiamo già discusso come il problema dei diritti migranti sia sentito soprattutto dalle ONG occidentali piuttosto che dai migranti stessi. Quello che ha fatto il PCC, e che fanno di solito tutti i partiti comunisti di massa è la formazione di un "blocco storico", in questo caso per l'uscita dal sottosviluppo e per il ritorno della Cina al suo ruolo di protagonista della politica mondiale. Esso si basa sugli interessi materiali delle classi coinvolte in modo perfettamente marxista. Certo che la sinistra occidentale seguace del Dalai Lama è molto più spiritualista e sarà come al solito mazziata e cornuta.
La Wright non fa altro che sostenere che “in Cina i gruppi sociali citati, in un modo o nell’altro, hanno qualcosa da guadagnare dallo status quo e molto da perdere in caso di un eventuale cambiamento politico. In particolare, la sua analisi mette in luce come l’atteggiamento “positivo” della società cinese nei confronti dell’attuale leadership sia plasmato da quattro fattori: in primo luogo, il fatto che politiche di sviluppo confluenti abbiano portato una grande mobilità socioeconomica verso l’alto per ampi segmenti della popolazione, in particolare gli imprenditori privati, i professionisti, i lavoratori nel settore privato e i contadini; in secondo luogo, il fatto che alcuni settori chiave abbiano mantenuto rapporti privilegiati con il Partito, in particolare gli imprenditori privati e i lavoratori statali; in terzo luogo, il fatto che le politiche statali e le forze di mercato abbiano portato ad una struttura socio-economica polarizzata, con una maggioranza povera e una minoranza benestante (abbiamo visto come la minoranza benestante tenda ad allargarsi colmando il divario), cosa che non solo ha minato i sentimenti di solidarietà tra le varie classi sociale, ma ha anche creato un’elite per cui un governo liberale e democratico riveste scarso appeal; infine, il fatto che con l’avanzare delle riforme si è registrato un percepito aumento delle possibilità sul piano politico, ad esempio con le petizioni e il consolidamento dello stato di diritto, e la contemporanea diminuzione delle alternative politiche appetibili” (Franceschini 2011).

Addirittura nelle zone rurali il 45% degli abitanti ha dichiarato di essere “estremamente soddisfatto” dell'azione del governo. Cifra più alta che nelle città. E questi dovrebbero essere gli sfruttatissimi e angariati "schiavi" (ogni cinese è schiavo ovviamente per la ristretta mentalità occidentale) della campagne. D'altra parte come scrive Franceschini il governo cinese ha la capacità di trasformare a proprio vantaggio dei possibili danni d'immagine: "E’ innegabile il fatto il governo cinese abbia una grande capacità: quella di riuscire ad alimentare la propria legittimazione anche a partire da quelli che potenzialmente sarebbero dei disastri d’immagine, penso ad esempio al caso di Sun Zhigang del 2003 o al caso delle fornaci di mattoni clandestine del 2007. Tutto a causa di quell’apparente divisione tra amministrazioni locali e governo centrale, che porta i cittadini cinesi a considerare i funzionari locali la fonte di tutti i mali" (Franceschini 2010). Comunque le famose amministrazioni locali fonte di tutti i mali godono di un invidiabile 61% di sosteno da parte dei cinesi.
Concluderemo con Martin Whyte che “la maggioranza dei cinesi consideri 'giusta' la società in cui vive” (Franceschini 2011).


Allora andiamo a vedere cosa succede nell'Asia nel suo insieme. Le democrazie dell'Asia orientale sono in difficoltà, la loro legittimità è stata minacciata dalle scarse prestazioni nella politica economica e compromesse dalla nostalgia per i regimi autoritari del passato che producevano sviluppo. Per il Barometro dell'Asia orientale, otto gruppi di ricerca hanno condotto indagini campione in cinque nuove democrazie (Corea, Taiwan, Filippine, Thailandia e Mongolia ), una democrazia consolidata (Giappone), e due "non democrazie" (Cina e Hong Kong), al fine di valutare le prospettive di consolidamento democratico. La ricerca è frutto della collaborazione tra i maggiori ricercatori americani e asiatici sulla democrazia e l'opinione pubblica ed è raccolta nel saggio How East Asians View Democracy uno sforzo pionieristico che si basa su metodi di indagine standardizzati per misurare l'appoggio degli asiatici ai sistemi democratici. I risultati presentano un resoconto definitivo del modo in cui asiatici orientali vedono i loro governi e il loro ruolo di cittadini. I risultati per gli imperialisti della democrazia occidentale sono preoccupanti. I giapponesi sono disillusi mentre i cittadini dell'autoritaria Cina valutano le prestazioni democratica del loro regime favorevolmente. Questo indagine mostra come lo scetticismo e la frustrazione siano i sentimenti dominanti in Asia.


A dire il vero, il livello di impegno per i valori democratici varia tra gli otto paesi e nelle regioni oggetto dell'indagine: è più alto in Giappone, Corea del Sud, Taiwan e Thailandia e relativamente debole a Hong Kong. Essi mostrano, in media, scarso impegno per lo stato di diritto. Gli intervistati di Hong Kong, Giappone e Corea del Sud hanno registrato un impegno di poco superiore alla media per lo Stato di diritto, mentre quelli in Cina e Thailandia sono ben al di sotto della media. E' il trionfo dei relativisti culturali.

Sulla base dei dati raccolti in Giappone, a Hong Kong, Taiwan, nella Cina continentale, e in altri paesi del Sud-Est asiatico, il rapporto ha prodotto diversi risultati interessanti. Secondo il sondaggio, i cittadini di Hong Kong e Taiwan si impegnano molto meno per la democrazia di quelli della Cina continentale. Inoltre, molte persone della RPC credono che la democrazia sia adatta per il loro paese, molto di più di quanti non lo credano a Hong Kong e Taiwan. Molto sorprendentemente (per i liberali), le persone in Cina percepiscono il livello di democrazia nel loro paese come piuttosto elevato, mentre la gente di Taiwan ritengono che il livello di democrazia sull'isola superi la loro domanda, vale a dire che il loro governo sia diventato "troppo democratico".
Le conclusioni dell'indagine è gli Asiatici abbraccino la democrazia nei suoi principi, come ad esempio la libertà di credo, tuttavia, essi ne hanno una comprensione totalmente diversa da quella occidentale in particolare sulla realizzazione della democrazia stessa (Pei,  Shi 2007)

Gli ultimi otto anni hanno registrato una crescente scetticismo globale, e perfino ostilità verso la democrazia di tipo occidentale. In Asia la maggioranza della gente vogliono che i loro paesi diventino più democratici, però in futuro, ma in meno credono che la democrazia sia adatta già da oggi, e ancora meno credono che è sia la forma preferibile di governo e infine meno ancora credono che sia efficace nel risolvere i problemi della società. Insomma il sostegno alla democrazia e ad alcuni principi democratici non è elevato nell'Asia nel suo complesso.
Coloro che ritengono che la democratizzazione sia più importante dello sviluppo economico sono una minoranza (ad esempio, il 23,5% in Taiwan, 21,8% nelle Filippine, il 30,1% in Corea del Sud, il 19,6% a Hong Kong, e il 40.3 % in Cina).
Per ottenere una più profonda comprensione di atteggiamenti dell'Asia orientale, i sondaggisti del Barometro hanno chiesto il parere su alcuni principi che sono ampiamente riconosciuti come pietre angolari della democrazia, senza usare esplicitamente la parola "democrazia": l'uguaglianza politica, la separazione dei poteri, responsabilità del governo, la libertà politica , e il pluralismo politico. Essi hanno scoperto che mentre il supporto per l'uguaglianza politica è piuttosto alto, con una media negli otto paesi del 73,5%, il supporto per il pluralismo politico è inferiore al 40%. Più sorprendente, è il calo decisivo dell'idea che "la democrazia possa risolvere i problemi" tra la prima e la seconda indagine (i dati sono stati presi a distanza di alcuni anni) in due paesi quella cifra è scesa di un buon 20%. Il sostegno per la democrazia è sensibile alle prestazioni economiche a breve termine (Keidel, Diamond et altri 2007).

Ma la domanda che tutti dovrebbe porsi a sinistra è: se il Partito Comunista Cinese gode di una popolarità superiore al 90% e la sinistra più o meno radicale occidentale gode di altrettanta impopolarità come mai è quest'ultima che vuole insegnare ai primi della classe? La diagnosi è delirio di onni(im)potenza!!!!
Bibliografia

Bell, Daniel A.2012Why China Won't Collapse (Soon), WorldPost, 07/09/2012.
Fardella, Enrico; Vignoli, Valentina e Beauchamp-Mustafag, Nathan 2012Quanto sono soddisfatti i cittadini cinesi? Cineresie, 16 aprile 2012.
Franceschini, Ivan 2011.  La Cina oggi: società armoniosa o vulcano sociale?, Cineresie, 19 maggio 2011.
Ho-fung Hung 2011. Protest with Chinese Characteristics: Demonstrations, Riots, and Petitions in the Mid-Qing Dynasty, Columbia University press.
Keidel, Albert, Nathan, Andrew , Yun-han Chu, Diamond, Larry 2008.  How East Asians View Democracy, 14 novembre 2008.
Lenin 1920. Questione nazionale e coloniale (Discorso al 2° Congresso della Terza Internazionale. Seduta del 26 luglio 1920
Lundquist, David  2012, Why China Won’t Collapse, 24 June 2012.
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Debunkers dei miti sulla Cina. Avversari della teoria del China Collapse e del Social Volcano, nemici dei China Bashers.